USA e Cina cominciano a confrontarsi sui dazi: per entrambe è necessario un accordo. Ma Xi potrebbe convincere Putin a cedere qualcosa sull’Ucraina
Alla fine bisognava arrivare al momento del confronto. Per USA e Cina è giunto in questo weekend in Svizzera, a Ginevra, quando si sono trovati faccia a faccia il segretario del Tesoro Scott Bessent e il suo parigrado cinese He Lifeng. Il tema sono stati i dazi, perché entrambe le economie non possono rassegnarsi a una politica di sostanziale blocco commerciale.
Nel negoziato, però, non si parlerà solo di tariffe. La strategia di Xi Jinping nei confronti di USA (e UE), infatti, potrebbe essere quella di ammansire Putin, riportarlo a più miti consigli sull’Ucraina, per abbassare i toni dello scontro soprattutto con gli americani.
Per quanto riguarda i dazi, invece, osserva Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, potrebbe succedere che le parti si mettano d’accordo per ridurli notevolmente o eliminarli in settori cruciali che non potrebbero reggere a imposizioni così pesanti come quelle attuali. Trump ha proposto di abbassare quelli USA all’80%, ma è solo il primo passo.
Finalmente USA e Cina cominciano a parlarsi ufficialmente: non poteva che finire così o si è rischiata la rottura definitiva?
Questo incontro era prevedibile. Un conto sono le dichiarazioni di principio, gli obiettivi, che in modo anche virile Trump e Xi Jinping hanno voluto manifestare bloccando di fatto il flusso commerciale, altra cosa è la realtà.
Per due economie che hanno un interscambio da 600 miliardi di dollari, continuare con questo blocco significa che vanno a fondo entrambe. Il tema vero per gli americani, però, sarà come non perdere la faccia, anche se credo che il presidente USA in qualche misura l’abbia già persa. Per i cinesi, invece, sarà importante far capire che non sono stati loro a cedere, per una questione di gestione del consenso.
Cosa succederà allora, quale potrebbe essere l’esito delle trattative?
Non sapremo tutto: credo che raggiungeranno un accordo più ampio di quello che verrà annunciato. Mi aspetto un comunicato stampa nel quale verranno individuati selettivamente degli ambiti in cui, nel reciproco interesse, si cercherà di ridurre al minimo il peso delle tariffe: sono i settori in cui le due economie dipendono l’una dall’altra.
Una ricerca del New York Times ha rivelato, per esempio, che il 95% dei prodotti per la casa acquistati sono cinesi. Mi aspetto, insomma, che lavoreranno per individuare gli ambiti su cui si intende riattivare un flusso economico e di interscambio, con tutta una serie di categorie merceologiche che verranno esentate o che avranno tassi ridotti.
Un accordo che non potrà essere su tutto?
Su un insieme di cose dovranno litigare, come sulle alte tecnologie. O a fingere di farlo. Sul resto cercheranno un punto di incontro. Quello che inizierà in questi giorni è un dialogo che avrà questo tipo di conclusione.
Il confronto Usa-Cina sarà limitato ai dazi o entreranno in gioco anche altre considerazioni geopolitiche?
La Cina ha bisogno degli Stati Uniti e dell’Europa. E per guadagnare in termini di immagine ha una carta da giocare: portare Putin a più miti consigli sull’Ucraina. Credo che non lo sapremo mai, perché non è tradizione cinese sbilanciarsi su cose di questo genere, ma ci potrebbe essere un tentativo in questo senso. Il presidente cinese da anni non andava a Mosca per la Giornata della Vittoria: è la miglior scusa per inserire, negli incontri, il vero punto che gli interessa.
Non è detto che i cinesi ce la facciano, perché Putin è un personaggio di grande complessità, ma in questo momento l’unico interlocutore che può influenzarlo è Xi, non Trump. Per i cinesi questo è un momento importante: devono riprendere il dialogo con gli americani e con gli europei, i due mercati che sostengono la loro economia.
Al di là delle trattative, la politica dei dazi di Trump ha già cambiato le strategie dei Paesi che hanno a che fare con gli USA? Cina, Giappone e Corea del Sud, ad esempio, hanno stretto un accordo dal punto di vista commerciale: si spiega tenendo conto delle mosse della nuova amministrazione statunitense?
La Cina, come l’Europa, ha bisogno di individuare circuiti alternativi che sono diventati un elemento di gestione del rischio commerciale. Sta lavorando molto con l’ASEAN (Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, nda) e ha ammorbidito le sue posizioni anche nei confronti dell’India. I dazi sono stati un campanello d’allarme per tutti, perché non si può dare per scontato che il mercato americano rimanga aperto in eterno. C’è bisogno di trovare soluzioni addizionali, per questo sia la Cina sia l’Europa si stanno muovendo.
Questa diversificazione rappresenta un danno per l’economia americana?
È uno dei danni che Trump ha fatto e che sono irreversibili.
Il tanto decantato decoupling, il distacco dell’economia americana da quella cinese che gli USA avrebbero previsto, invece, è fattibile?
Nel breve periodo è impossibile: ricostruire catene di fornitura articolate richiede almeno 10 anni. E anche se questo non varrà per tutti i prodotti, penso che sia irrealizzabile anche nel medio-lungo periodo. Il decoupling produttivo significa il disaccoppiamento di mercato, ma a quel punto si rischia che le imprese non stiano più in piedi. Senza cinesi e americani manca un quinto del mercato complessivo. La Apple fa il 50% dei profitti in Cina. È anche per questo che americani e cinesi devono arrivare per forza a un accordo.
(Paolo Rossetti)
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