Incontro USA-Iran in Oman. Trump vuole che Teheran rinunci completamente all’energia nucleare, anche per uso civile
I negoziati sono partiti e, secondo gli iraniani, i primi contatti sono stati costruttivi. Ora, dalla settimana prossima, si entrerà nel merito del confronto. Sicuramente l’incontro svoltosi in Oman, terminato anche con un faccia a faccia fra l’inviato di Trump, Steve Witkoff, e il ministro degli Esteri di Teheran, Abbas Araghchi, non autorizza a dare per fatto l’accordo sul programma nucleare dell’Iran, ma almeno ora una speranza c’è.
Le posizioni sono distanti, osserva Rony Hamaui, docente di scienze bancarie all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, però sia Trump che Khamenei hanno interesse a trovare un punto di equilibrio, con la benedizione della Russia. Gli americani non vogliono che gli ayatollah possano costruire un’arma atomica, gli iraniani chiedono di togliere le sanzioni che gravano sulla loro economia.
La richiesta USA, però, stavolta sarebbe di rinunciare in toto ai siti nucleari, anche per uso civile. Tanto all’Iran le risorse energetiche non mancano, non ha bisogno dell’energia nucleare.
Il ministero degli Esteri iraniano dice che i primi colloqui con gli USA per cercare un accordo sul programma nucleare di Teheran sono stati costruttivi. C’è davvero la volontà di arrivare fino in fondo e di scongiurare un nuovo conflitto?
L’intenzione c’è, poi bisogna confrontarla con la realtà. Gli americani vorrebbero che i siti nucleari iraniani fossero completamente dismessi, si sono convinti che gli usi civili sono una scusa. Gli iraniani, invece, sono contrari. Probabilmente, alla fine si troverà un compromesso, come è successo in occasione del precedente accordo, abbattendo l’arricchimento dell’uranio e permettendo un’attività di vigilanza e controllo. Credo che sia l’unico accordo possibile.
Trump ha detto che l’Iran non può avere armi nucleari e che, se non si arriverà a un’intesa, rischia un’azione militare. Dice sul serio o è il suo solito approccio aggressivo per ottenere di più nei negoziati?
Le truppe americane sono schierate vicino all’Iran e i bombardieri USA sono stati trasferiti nell’Oceano Indiano. La minaccia è molto forte. L’Iran è in un momento di debolezza oggettivo perché ha perso tutti i suoi alleati, perché Israele gli ha distrutto le difese aeree e perché il prezzo del petrolio è in ribasso: ha voglia di fare un accordo, mentre Trump, in realtà, non ha nessuna intenzione di fare la guerra. E non si capisce mai se vuole portare fino in fondo le sue minacce: la vicenda dei dazi, in questo senso, è emblematica. Credo, comunque, che le trattative possano anche concludersi positivamente.
Gli USA chiederanno all’Iran di rinunciare a sostenere i suoi proxy? Hezbollah, intanto, sembra disposto a deporre le armi in Libano: un segnale di allontanamento da Teheran?
Oramai i proxy sono stati limitati. Non credo che il problema siano Hezbollah, Houthi e Hamas, ma capire se gli iraniani siano disposti a rinunciare agli impianti nucleari e, forse, almeno in parte, anche a quelli missilistici. Bisogna vedere che intenzioni ha il regime, quanto è illuminato. Il desiderio di raggiungere un accordo c’è, le posizioni iniziali, però, sono distanti.
Al Jazeera riporta dichiarazioni del presidente Pezeshkian, secondo il quale Khamenei, guida della rivoluzione, non sarebbe contrario a investimenti americani in Iran. Ha capito che Trump va convinto con gli affari?
Sono dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano, anche se sono indice della voglia di trattare. Anche Trump ha bisogno di ottenere qualche risultato: aveva promesso che dopo una settimana dal suo insediamento avrebbe fatto cessare la guerra in Ucraina e così non è stato, ha cercato di fare lo stesso a Gaza e non ci è riuscito, ora vorrebbe ottenere finalmente qualcosa.
Confrontando queste tre situazioni, la trattativa in Iran potrebbe essere la più facile, si fa per dire, da portare a casa?
Si tratta di trovare le garanzie reciproche tra due Paesi. Non c’è nulla di facile, però, così come fu lo stesso Trump a rompere l’accordo precedente, potrebbe essere di nuovo lui a riallacciarlo in qualche forma. Le carte in mano le ha, se le userà fino in fondo non lo so.
Trump, una volta sbloccata la situazione, potrebbe fare affari anche con gli iraniani?
Una volta trovato l’accordo, è possibile anche fare affari. Trump, d’altra parte, usa il commercio come un’arma: per lui non ha un significato economico, ma politico. L’Iran, inoltre, è un Paese con molte risorse naturali e ha una collocazione geografica interessante. Insomma, non è un Paese di secondo piano.
Steve Witkoff, prima di trattare con gli iraniani, è stato a Mosca da Putin. Un viaggio che, non a caso, si è svolto il giorno precedente del confronto nell’Oman?
Oggi i migliori alleati degli iraniani sono i russi, forniscono loro i droni, comprano il loro petrolio. Non si può raggiungere un accordo con l’Iran senza il consenso della Russia. La parola “caso”, a questo mondo, non esiste: il viaggio di Witkoff a Mosca è avvenuto per un motivo. Anche Mosca, d’altra parte, si trova in un momento di difficoltà: avere un fronte di meno a cui pensare potrebbe farle comodo.
Qual è lo scenario che si apre dopo il primo incontro del negoziato? Si arriverà a un’intesa?
La probabilità che si giunga a un accordo, onestamente, non credo che sia altissima. La storia ci ha insegnato, tuttavia, che non ci dobbiamo stupire di nulla.
Se gli americani chiedessero di rinunciare tout court ai siti nucleari, in fondo, per gli iraniani non sarebbe un grosso sacrificio. Il Paese ha grandi risorse dal punto di vista dell’energia, a cominciare dal petrolio. Un elemento che induce alla speranza?
L’Iran non ha mai avuto bisogno dell’energia nucleare se non per affermare la sua potenza come Paese, questo è fuori di dubbio. Può anche rinunciarci: con tutta l’energia che ha, del nucleare può fare benissimo a meno.
(Paolo Rossetti)
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