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Home » Esteri » Medio Oriente » TREGUA A GAZA?/ “Netanyahu fa finta di chiudere un fronte per aprirne un altro: il Libano torna a rischio”

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TREGUA A GAZA?/ “Netanyahu fa finta di chiudere un fronte per aprirne un altro: il Libano torna a rischio”

Int. Camille Eid
Pubblicato 6 Luglio 2025
Palestinesi a Gaza

Palestinesi a Gaza in cerca di aiuti (Ansa)

Si tratta per la tregua a Gaza voluta da Trump, ma Israele non cambia i suoi piani e potrebbe intervenire in Libano. Grandi manovre con la Siria

La tregua fra Israele e Hamas per Gaza potrebbe non cambiare per niente lo scenario della Striscia: i piani di Netanyahu di deportare o comunque espellere i palestinesi restano tutti. L’atteggiamento del premier israeliano, però, spiega Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia e collaboratore di Avvenire, dimostra che ogni volta che chiude un fronte ne apre un altro.


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Potrebbe succedere in Libano, dove l’IDF continua a bombardare, anche vicino a Beirut, e rimane aperta la questione del disarmo di Hezbollah. Ma c’è grande fermento anche sul fronte siriano. Damasco potrebbe vedersi restituita da Israele almeno una parte del Golan. Tel Aviv riceverebbe contropartite economiche interessanti.


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Hamas avrebbe accettato con riserva la proposta di tregua per Gaza. Ma tra i punti da chiarire c’è ancora la fine della guerra, cioè il vero motivo che ostacola da sempre le trattative. A che punto siamo?

Il Qatar dice che Hamas propone lievi modifiche, ma senza entrare nei dettagli. Quello che mi stupisce è che, a distanza di quasi 21 mesi dall’inizio della guerra, si vada avanti senza una prospettiva politica. Nessun Paese al mondo conduce una guerra così, senza sapere come andrà a finire. Un aspetto preoccupante, che però dà l’idea di come vanno le cose in Medio Oriente. Sono fiducioso sulla tregua, solo che Netanyahu è così abituato a chiudere un fronte e ad aprirne un altro che potrebbe tacere a Gaza e ricominciare nello Yemen o, più probabilmente, in Libano.


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Dopo la guerra dei 12 giorni con l’Iran, Israele ha ripreso a bombardare il Libano. Perché questo fronte non si chiude mai?

Lunedì arriva a Beirut l’inviato di Trump, Thomas Barrack, uomo d’affari incaricato del dossier libanese al posto della diplomatica Morgan Ortagus. È figlio di emigrati libanesi, ma non basta essere di origine libanese per fare l’interesse del Libano. Nella sua ultima visita ha presentato un documento di sei pagine in cui dà indicazioni su quello che bisogna fare, sollecitando risposte da parte di Beirut. Adesso sono tutti lì a preparare la risposta ufficiale libanese: ci sta pensando una commissione di cui fanno parte il Presidente della Repubblica, il Premier e il Presidente del Parlamento. La politica USA è quella del bastone e della carota: nel documento, per convincere il Libano a seguire le indicazioni americane, ci sono promesse di aiuti per 8 miliardi di dollari per risollevare l’economia. Dall’altra, però, c’è l’avvertimento che, se non vengono accettate queste proposte, i diktat statunitensi, Donald Trump potrebbe perdere la pazienza.

I media israeliani parlano anche di uno scontro fra Netanyahu e il capo di stato maggiore Eyal Zamir, una divergenza sulla necessità di mettere sotto occupazione la Striscia. Perché succede proprio in concomitanza di una possibile tregua? Significa che alla pace non ci pensano nemmeno?

C’è stata una seduta con toni accesi fra Netanyahu e i generali, ma ritorneranno a parlarsi. Si parla di tregua, ma in questi giorni a Gaza c’è stata una media di 100-140 morti al giorno: sembra quasi che la gente non voglia più guardare, si disinteressi completamente di quello che sta succedendo. Va poi detto che nella Striscia chi non muore sotto le bombe muore di fame. Se si instaura la tregua e poi non si fanno entrare aiuti, medicine, carburante, chi resta a Gaza corre semplicemente altri pericoli rispetto alle bombe. Ormai gli israeliani hanno tentato in tutti i modi di sloggiare la popolazione, con le buone o con le cattive.

Dobbiamo aspettarci una tregua che duri pochi giorni, il tempo di liberare gli ostaggi, e poi si troverà un motivo per riprendere come prima?

Questo è il programma: privare Hamas della sua carta forte, quella degli ostaggi, e poi portare a termine il piano per la Striscia. Quello di cui non ci si accorge, e lo sto dicendo da un anno, è che non c’è solo Gaza. Le statistiche dell’ONU parlano di 740 attacchi dei coloni nella prima metà del 2024 in Cisgiordania: vuol dire che anche lì c’è una guerra. E non è questione di Hamas o ANP, che non sa più come inginocchiarsi davanti a Netanyahu e assecondare tutte le richieste israeliane. C’è una guerra parallela di cui nessuno parla.

Esponenti del governo Netanyahu hanno proposto di annettere la Cisgiordania. Potrebbe succedere?

Parlano di Samaria e Giudea, non la chiamano neanche West Bank.

Sul versante Libano, invece, cosa può succedere?

C’è chi dice che a breve scoppierà il finimondo, perché ogni giorno Israele “martella” il Libano, anche a poca distanza da Beirut, con morti e feriti. Come sempre. Gli scenari più pessimistici parlano di un attacco israeliano da sud, o dal monte Hermon. Ma potrebbero esserci novità anche sul fronte siriano: il giornale israeliano Israel Hayom ha formulato una serie di ipotesi, secondo le quali la Siria avrebbe chiesto la restituzione quantomeno di un terzo delle alture del Golan prese nel ’67. Il nome di battaglia di Al Sharaa, d’altra parte, Al Jawlani, significa “quello del Golan”. Sarebbe strano farsi chiamare così e rinunciare proprio al Golan.

Israele cosa otterrebbe in questo caso?

Annetterebbe un terzo del territorio, mentre l’ultimo terzo, ufficialmente sotto sovranità siriana, verrebbe “noleggiato”: andrebbe a Israele per un minimo di 25 anni. Ma c’è anche un’altra ipotesi sul piatto: Israele mantiene due terzi delle alture del Golan e, per compensare la Siria, le danno Tripoli del Libano e una parte della Beqaa. Una mentalità ancora ottocentesca, quando si dividevano le spoglie degli Stati. Secondo alcuni, comunque, non succederà niente: sono le solite tattiche, si alzano i toni per arrivare a compromessi.

In Libano, tuttavia, la vera questione resta il disarmo di Hezbollah. Cosa sta succedendo su questo fronte?

Hezbollah, in cambio della sua rinuncia alle armi, potrebbe avere una contropartita politica. Il Libano è basato su una ripartizione 50-50 tra cristiani e musulmani, potrebbe essere giunto il momento di dire: “I cristiani sono il 30% della popolazione e allora le posizioni di potere vengono divise in questo modo: un terzo per i cristiani, un terzo per i sunniti, un terzo per gli sciiti”. Hezbollah aumenterebbe il suo peso passando da un 22-25% del potere al 33%. Entro martedì sera si dovrebbe capire qualcosa di più, ma siamo di fronte a una nuova Yalta.

Perché?

Lo scenario delineato da Israel Hayom è molto più ampio, prevede che la Siria accetti una collaborazione economica che prevede, attraverso il suo territorio, di portare l’acqua dell’Eufrate a Israele. Si creerebbe una specie di consorzio che riunisce Turchia, Siria e Israele, con buona pace dei curdi.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Benjamin NetanyahuDonald Trump

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