Dopo l’incontro di Washington basse probabilità di un accordo per l’Ucraina. Il copione è quello dei film di Sordi: “Finchè c’è guerra c’è speranza"
Dopo giorni di trattative, viaggi al di qua e al di là dell’Atlantico, dichiarazioni e incontri, minacce e promesse, comunicati più o meno accattivanti e possibili incontri prossimi venturi, temo che l’Unione Europea non sappia più a che santo votarsi.
Tanta “ammuina” ma poca sostanza; e su tutti lui, quel Putin novello imperatore informalmente riabilitato (da Trump) che alla fine fa sostanzialmente ciò che vuole.
È stato lui l’aggressore, ma dimostra di essere il più forte e il più furbo, con gli altri che devono venire a patti con lui.
Ha in mano il gioco, ma d’altronde di fronte a sé Putin si è trovato prima un debole Biden condizionato da lobby, generali e guai di famiglia, poi un tipo come Trump di cui è stato capace di blandire l’ego smisurato facendogli intravedere addirittura un Nobel per la pace (che l’altro vorrebbe ad ogni costo, senza neppure ricordare che è un premio “politico” e che quindi a lui non daranno mai, soprattutto dopo averlo regalato ad Obama senza alcun merito e praticamente al primo giorno di regno) e che poche settimane dopo, infatti, puntualmente scatenò la guerra in Siria alla faccia della pace.
Allo show di Ferragosto è seguito poi un gran movimento di jet per portare a Washington la multiforme pattuglia europea in ordine sparso, ben sintetizzata dalla foto finale dove il peso politico dei singoli Paesi non è per fortuna legato alla statura fisica dei leader, ma l’impressione è comunque di un gruppo male assortito, fatto di capi di Stato e di governo che ovviamente pensano soprattutto ai problemi di casa propria e sgomitano per un posto al sole in vista di future elezioni. Problemi che certamente Putin non ha.
Abbiamo assistito a chiacchiere, buoni principi, ipotesi e poco di più, anche perché, se c’è l’Europa di mezzo, solo per fare un veloce giro di tavolo e lasciar parlare tutti ogni volta ci vuole almeno una mezz’ora.
Al momento di chiudere è saltato fuori che bisognava pagare il conto e che a Zelensky era comunque “dovuto” qualcosa, diciamo una mancia di 100 miliardi di aiuti extra, ma con Trump che non ha voluto neppure vedere la fattura: fornirà armi se le pagano gli altri, e l’Europa, messa all’angolo, ha detto subito di sì, per la gioia dei produttori americani e ovviamente di Zelensky cui nessuno chiede mai un rendiconto.

All’Italia, in proporzione, toccherà pagarne una ventina e la “finanziaria” di quest’anno è così di fatto definita, in barba ai prossimi tre mesi di discussioni in parlamento e dello scontato voto di fiducia intorno a Natale (ma non si potrebbe allora decidere subito, evitando il solito teatrino?).
Il fatto è che l’Europa non ha altro modo di pagare il conto perché non ha una linea condivisa e chiara, sa che le opinioni pubbliche non gradirebbero né un intervento armato, né l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, anche perché non ne avrebbe titolo.
Adesso si parla di un incontro a Budapest, ma, a parte la figuraccia di andare proprio a casa di Orbán – quello che a Bruxelles è visto come persona non grata –, che ci si andrà a fare se, pur incontrandosi, i due belligeranti uscissero dal colloquio diretto senza un minimo di intesa?
Perché il copione è pressoché segnato: Putin chiederà “tutto” e Zelensky dirà di no. E dopo?
Senza preparazione adeguata e accordi pre-sottoscritti saremo esattamente allo stesso punto. Questo è il quadro, sconcertante ma obiettivo, e penso che tutto questo si potesse forse evitare richiamando all’ordine Kiev prima del 2022 e gestendo la crisi a bocce ferme o magari negoziando subito, prima di tre anni e mezzo di guerra, dopo un’infinità di morti inutili e tante distruzioni. Per arrivare a conclusioni che, dopo qualche mese e con un fronte sostanzialmente bloccato, Putin avrebbe forse sottoscritto.
Oppure tutto è stato un tragico bluff ben organizzato, visto che per la NATO – allora in via di liquidazione – il conflitto ucraino è stata una grande occasione, un potente e formidabile Gerovital buono a farla tornare sulla cresta dell’onda.
“Finché c’è guerra c’è speranza” fu un film fortunato di Alberto Sordi. Sembra che lo stiamo riproiettando a puntate, giorno per giorno.
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