Se si fossero applicati gli accordi di Minsk l’Ucraina sarebbe in una situazione migliore. Per USA e Russia l’unica strada è quella della Realpolitik
Tra le molte cose interessanti nell’intervista sull’Ucraina di Giulio Sapelli, mi ha colpito in particolare un’osservazione: “Nella storia diplomatica mondiale non è mai successo che, a guerra in corso, si facesse una conferenza sulla ricostruzione.” In effetti, il senso comune vorrebbe che si tenesse prima una conferenza sulla fine della guerra, cioè che prima di parlare di “ricostruzione” del Paese si parlasse di “costruzione “della pace.
È vero, peraltro, che più la guerra continua, più saranno vaste le distruzioni e, quindi, aumenteranno la necessità di ricostruire e le opportunità per chi da questa ricostruzione ricaverà vantaggi. In questo calcolo, però, non si tiene conto delle vite umane che nel frattempo, sui due fronti, andranno irrimediabilmente perse, ma, come dice Sapelli, a morire va la gente del popolo, non gli oligarchi ucraini che, al contrario, parteciperanno con profitto alla ricostruzione.
La parte del leone negli affari della ricostruzione la faranno gli Stati Uniti, che hanno già un accordo con Kiev per le terre rare, mentre rimane dubbia la parte che avrà l’Unione Europea, pur attiva nel sovvenzionare l’Ucraina. Come al solito, ogni Stato europeo andrà per conto suo, secondo i suoi interessi, e l’UE dimostrerà ancora una volta la sua debolezza verso concorrenti che agiscono unitariamente, come gli Stati Uniti, la Cina e anche “l’europea” Turchia. L’Italia rimarrà condizionata dalle sue tradizionali debolezze e Sapelli cita giustamente il caso dell’autodistruzione dell’Ilva, che avrebbe potuto giocare un ruolo molto importante in Ucraina, e non solo.
Si può perciò pensare che, al di là delle bellicose dichiarazioni di Zelensky, la guerra si possa avviare a conclusione con la sempre più citata “soluzione coreana”. È infatti impensabile che l’Ucraina possa ricacciare i russi dai territori occupati, come è fuori da ogni possibilità per la Russia di conquistare tutto il Paese. Come forse si era inizialmente illuso Putin, che comunque potrà portare come risultato, sia pure parziale, l’annessione di Donbass e Crimea.
Rimangono rafforzate, tuttavia, le opinioni di chi ritiene, come chi scrive, che questa guerra avrebbe potuto essere evitata. Con costi enormi, la sua conclusione non porterà ad una situazione molto diversa da quella prospettata dagli accordi cosiddetti Minsk 2, con la differenza che almeno il Donbass farebbe ancora parte dell’Ucraina, sia pure come regione autonoma.
Le decisioni da parte ucraina non vengono prese a Kyiv, ma da chi detiene il potere a Washington, rimane da vedere chi avrà l’ultima parola in proposito a Mosca. Può essere azzardato, ma c’è da sperare che la decisione venga presa dal pragmatico Putin e non da gente come il Patriarca Kirill, la cui ideologia religiosa è, per fortuna, contrastata anche all’interno della Chiesa ortodossa russa.
Se il realismo prende il sopravvento in queste due capitali, la guerra potrebbe cessare in tempi rapidi, sulla base della spesso vituperata Realpolitik. Proprio su questa base, tuttavia, sia a Washington e, soprattutto, a Mosca dovrebbe essere evidente come questa guerra sia stata inutile e come tutti abbiano a guadagnare dalla sua fine. Anche il regime moscovita.
Questa guerra è un’ulteriore conferma, e di conferme non vi sarebbe bisogno, che la guerra non risolve i problemi, ma porta solo distruzione e prepara occasioni per nuovi scontri. Nell’interesse di chi da una guerra trae vantaggi ma nessun danno.
Un segno positivo è stato dato, lo scorso giugno, dalla telefonata di Putin a Leone XIV, ma Putin deve dare segni concreti della sua volontà di risolvere pacificamente la questione ucraina. Ciò che rimane certo è l’intervento prudente ma deciso del Pontefice in tale direzione.
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