Le risoluzioni adottate dal Consiglio UE sull'Ucraina rafforzano l’impressione che l’Europa voglia cacciarsi in un vicolo cieco
L’unico modo per l’Europa – e l’Italia – di garantire la sicurezza di Kiev sarebbe quella di impegnarsi in una missione di peacekeeping sotto l’egida ONU, lasciando perdere l’articolo 5 del Trattato NATO, spiega Pasquale De Sena, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Palermo e già presidente della Società italiana di diritto internazionale.
Il sostegno dell’Europa all’Ucraina è stato ribadito con forza all’ultimo Consiglio UE, quello dedicato al riarmo europeo, ma le scelte di Bruxelles mostrano un deficit di visione politica molto rilevante, osserva il giurista. Rearm Europe non è una difesa comune, ma una mini-Nato europea che si annuncia priva di legittimazione democratica, mentre il sostegno incondizionato all’Ucraina espone l’Europa ad un’azzardata politica anti-russa che potrebbe lasciare Bruxelles con il cerino in mano.
Professore, l’UE ha deciso di riarmarsi. Il piano prospettato e il metodo emergenziale, in deroga al Patto di stabilità, potrebbero ridefinire la fisionomia dell’Unione. Cosa si profila all’orizzonte?
Quella che si va costituendo è una sorta di “NATO europea”. Le misure evocate nelle conclusioni del Consiglio non hanno nulla a che vedere, per ora, con la costruzione di una difesa comune, che richiederebbe una politica militare comune, democraticamente legittimata. Si prospetta piuttosto un rafforzamento della difesa dei singoli Stati con misure di coordinamento fra i medesimi, come standardizzazione delle produzioni rilevanti, interoperabilità, eccetera.
Che dire invece del finanziamento di Rearm Europe?
Sarà facilitato tramite il ricorso alla “national escape clause” del Patto di stabilità e crescita, che può essere attivata dal Consiglio su richiesta di uno Stato membro e su raccomandazione della Commissione. Si aggiunge la prospettiva di creare, con urgenza, debito comune europeo, in misura tale da fornire agli Stati prestiti garantiti dal bilancio dell’UE fino a 150 miliardi di euro. Quest’ultima misura è finalizzata a offrire un miglior tasso di interesse ai Paesi più indebitati come Italia e Francia rispetto a quello necessario per piazzare titoli del proprio debito.
Sussistono i presupposti per evitare il passaggio delle misure nel Parlamento europeo?
È molto dubbio che si tratti di un’urgenza del tipo di quella del Covid. Con la conseguenza che a mio avviso sarebbe dubbio l’eventuale ricorso all’art. 122, comma 2, TFUE come prospettato dalla von der Leyen.
Al punto 2 dello Statement dedicato all’Ucraina si legge che “il Consiglio europeo riafferma il suo perdurante e fermo sostegno all’indipendenza, alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale”. Le sue osservazioni?
Si tratta, mi pare, quasi di una clausola invalsa, in linea, peraltro, anche con la risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU del 24 febbraio scorso, che ha ottenuto 93 voti a favore, ma ben 65 astensioni e 13 voti contrari. Mi sembra che la strategia del sostegno civile e militare all’Ucraina da parte europea sinora non abbia dato i frutti sperati. Ancor meno se ne prospettano se la sospensione del supporto militare statunitense dovesse continuare.
Al punto 3 il Consiglio afferma la necessità di una pace “globale, giusta e duratura”. Come commenta il ricorso a questa definizione di pace?
Anche qui siamo alle solite. Come risulta alla lettera e) del punto 4 dello Statement, si esclude qualsiasi amputazione territoriale dell’Ucraina. Dal momento che, a quanto pare, i russi occupano il 20 per cento del territorio ucraino, non si comprende però quali concessioni sarebbero loro offerte per ritirarsi. A leggere lo Statement, sembrerebbe che questi ultimi dovrebbero farlo senza condizioni, visto che al punto 11 si parla del diritto dell’Ucraina a scegliere il proprio destino politico – ivi inclusa, immagino, un’eventuale adesione alla NATO –, in linea con un indiscutibile principio del diritto internazionale. Quest’ultima prospettiva è stata peraltro ridimensionata dallo stesso segretario Rutte, sia pure in contraddizione con sue precedenti esternazioni al riguardo.
Si ribadisce la necessità di “garanzie di sicurezza per l’Ucraina che contribuiscano alla deterrenza di una futura aggressione russa”. Ma è tutt’altro che facile ottenerle.
Tutto quello che si può dire, in una fase come questa, è che la composizione di una missione di peacekeeping dovrà essere concordata anche con la Russia: e Lavrov ha chiarito che il suo governo non accetterà il dispiegamento di forze NATO. È dunque da escludere una copertura NATO di tale missione, come ipotizzato da Meloni, onde garantire l’ombrello dell’articolo 5 a eventuali contingenti italiani.
Lei cosa proporrebbe?
A mio avviso, la soluzione migliore sarebbe quella di una missione istituita in sede ONU, in linea con la prassi in materia, che vede una delega, da parte del Consiglio di Sicurezza, al Segretario generale.
Al punto 5 viene definita la postura strategica europea: “per conseguire la ‘pace attraverso la forza’, l’Ucraina deve trovarsi nella posizione più forte possibile”, da cui il sostegno europeo a tutti i livelli, comprese ulteriori sanzioni, al fine esplicito di indebolire la Russia.
Si tratta di una postura in continuità con la linea fin qui seguita e contrastante con quella adottata dagli Stati Uniti. Mi chiedo se sia davvero sostenibile e idonea, al di là della limitata efficacia palesata finora. Soprattutto alla luce del disimpegno militare statunitense e della ricerca di una soluzione politico-diplomatica del conflitto.
Trump sta trattando con due interlocutori: la Russia e l’Ucraina. Partiamo dalla prima trattativa. La ritiene promettente?
Guardi, è quasi una risposta impossibile quella che mi chiede. Quel che posso dire è che lo sgomento ucraino e lo spiazzamento europeo sono a prima vista comprensibili. Però, mi lasci osservare che ciò che accade si poteva ampiamente prevedere. E mi lasci anche aggiungere che i risultati sinora ottenuti con la strategia militare, sul piano del ripristino dell’integrità territoriale ucraina, sono purtroppo sotto gli occhi di tutti. Con questo, sia chiaro, non voglio dire che appoggiare la difesa ucraina sia stato un errore radicale, al netto della sua legittimità giuridica, che in linea di principio ho sempre affermato.
Quindi, professore?
Mi chiedo se non bisognasse fermarsi. Prima, cioè, di lasciare l’iniziativa politico-diplomatica all’amministrazione Trump; prima che si arrivasse all’uso di strumenti coercitivi di tipo economico-militare nei confronti dell’Ucraina da parte di questa amministrazione; prima che qualche successo, conseguito in quella che è stata chiamata controffensiva ucraina, venisse compensato dall’avanzata russa. Potrei continuare, ma mi fermo qui.
Quali sono le possibili ripercussioni degli esiti di questa trattativa USA sul supporto europeo all’Ucraina?
Mi sembra che il supporto europeo si faccia ancora più importante per Kiev. Ma è anche chiaro, proprio per quanto ho appena detto, che gli Stati europei rischiano di non aver alcun ruolo sostanziale in questa trattativa. In più il tasso di ostilità reciproca con la Russia, implicito in tale supporto, è salito ulteriormente. Ma c’è un ulteriore elemento di preoccupazione.
Quale sarebbe?
La debolezza derivante dal mutato atteggiamento statunitense – quanto al loro impegno in sede NATO – riguardo a un eventuale ampliamento del conflitto in territorio europeo.
L’Amministrazione Trump sta trattando anche con Zelensky. Nel volgere di una settimana c’è stato uno sviluppo rapidissimo: la proposta di un accordo sulle risorse minerarie, una rottura in mondovisione nello Studio Ovale, la piena disponibilità ucraina a firmare l’accordo. Prima questione: alla luce di quello che sappiamo, qual è il ruolo di questo accordo nel contesto dell’intera trattativa?
Mi sembra che ne sia parte integrante. La trattativa implica l’assunzione di un ruolo fondamentale da parte degli USA non solo nello sfruttamento economico di risorse ucraine, ma pure nella ricostruzione del Paese, parallelamente al rifiuto di qualsiasi coinvolgimento diretto nella prestazione di garanzie militari a Kiev. Tale coinvolgimento era chiaramente escluso dal draft approntato prima dell’incontro fra Trump e Zelensky. Ma su quest’ultimo punto è ancora da vedere cosa accadrà all’atto della stipulazione effettiva dell’accordo.
C’è una seconda questione. Sullo scontro tra Trump e Zelensky si è scritto di tutto. A suo avviso qual è il vero dato politico di quanto accaduto alla Casa Bianca?
Io partirei da una notazione di carattere giuridico. Immaginiamoci che, a seguito della scena cui abbiamo assistito, l’accordo si fosse ugualmente concluso, magari il giorno dopo. Forse ci sarebbe stato qualche motivo per chiedersi se firmarlo in quelle condizioni non l’avrebbe reso invalido, ai sensi dell’art. 51 della Convenzione di Vienna del ’69 sul diritto dei trattati.
Perché dice questo?
Quella scena lascia pensare che il presidente ucraino poteva essere stato sottoposto a minacce o avrebbe potuto essere minacciato prima della firma. Sul piano politico, mi pare che l’atteggiamento assunto da Zelensky nel corso dell’intero incontro si possa considerare maldestro, oppure ispirato dall’esigenza di mandare un segnale ai propri alleati europei. Vediamo cosa accadrà. Per ora, purtroppo, esso ha provocato la sospensione degli aiuti militari statunitensi, con effetti negativi per soldati e popolazione ucraina.
Come valuta la condotta dell’Italia in questo frangente politico, diciamo dal vertice di Londra in poi?
Stante la delicatezza della situazione, giudico complessivamente positiva la cautela del governo italiano, anche al di là delle questioni relative ai delicati equilibri politici che riguardano nello specifico la presidente del Consiglio.
La Meloni si è detta contraria all’invio di truppe, sfilandosi implicitamente dalla coalizione dei “volenterosi”, ma poi ha dichiarato che per avere la pace è “estendere l’articolo 5 della Nato sarebbe una soluzione duratura”. La prima posizione sembra dettata dalla prudenza, lo è anche la seconda?
Come le ho detto, considero piuttosto irrealistica la prospettiva di una protezione dei contingenti di un’eventuale forza di peacekeeping tramite un ricorso all’ombrello dell’art. 5 del Trattato NATO. Ritengo invece condivisibile il richiamo all’esigenza del trasferimento in sede ONU di una decisione sulla questione. Sia per ragioni di conformità alla prassi in materia, come dicevo, sia per un altro motivo importante.
Quale?
Per l’importanza che il coinvolgimento di un’istituzione internazionale multilaterale come l’ONU riveste su un piano più generale. Trovare e formalizzare un accordo in quella sede sarebbe un modo per riaffermare l’importanza delle Nazioni Unite in un momento in cui esse sono sotto attacco. Ma anche nella prospettiva del ruolo che l’ONU può svolgere in una situazione di così profonda frammentazione come quella in cui versa oggi la comunità internazionale.
(Federico Ferraù)
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