«Chiedo scusa se parlo di Maria»: Giorgio Gaber, involontariamente (ma del resto anche per questo sono geni personaggi come lui), aveva già capito tutto. Nell’offensiva della Commissione Europea ai termini cristiani e al Natale in quanto «potenzialmente lesivi dell’inclusione», la prima “battaglia” è stata persa dagli organismi Ue che però si sono subito affrettate a commentare ieri con la commissaria all’Uguaglianza Helena Dalli «il documento non è ancora maturo».
Il “Buon Natale” è salvo per ora ma la “guerra” realtà-ideologia sembra ancora molto lunga: oggi sul “Corriere della Sera” lo scrittore Antonio Scurati prende posizione coraggiosa «in difesa di Maria e del Natale», contravvenendo la “vulgata mainstream” che invece vedeva nel documento europeo un tentativo, magari maldestro, di affermare una vicenda sacrosanta. Ecco, per lo scrittore di “M. Il figlio del secolo” la sostanza è invece completamente diversa: «Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sia benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Si può iniziare un articolo di giornale con una preghiera? Certo che si può. Si deve poterlo fare, senza che per ciò nessuno si senta offeso, o escluso».
LA “DIFESA” DI SCURATI AL NATALE
Il J’accuse di Scurati non parte dalla considerazione di “parte” della difesa a spada tratta del Natale cristiano, la sua è invece una motivazione laica (e non laicista come quella europea, ndr), razionale e sì, anche democratica. «La strada del Paradiso, lo si sa, è lastricata di buone intenzioni e le buone intenzioni inclusive dei burocrati di Bruxelles conducono a un immenso equivoco sul significato di democrazia e tolleranza. La si deve piantare, una buona volta, di pensare che una società aperta sia quella che nega la propria cultura maggioritaria, che la democrazia significhi oblio di sé, che la tolleranza debba prevedere la perenne messa in stato d’accusa della propria identità», scrive ancora lo scrittore nel suo editoriale, lo ripetiamo visti i tempi, coraggioso sul “CorSera”. Scurati lo dice con chiarezza: la vera libertà degli altri non nasce affatto dalla «repressione di noi stessi»; qui allora concluse, con una netta e tutt’altro che minima stoccata al multiculturalismo “mainstream” imperante dei nostri giorni, «La predicazione ossessiva e persecutoria delle pratiche di diversity and inclusion sta diventando l’ideologia egemone del nostro tempo, vale a dire un frutto della falsa coscienza con cui si vogliono rivestire di idee e principi astratti le concrete, spiacevoli realtà dei fatti materiali, travestendoli con vestiti all’ultima moda».