I Tories nel Regno Unito hanno sollevato il tema dell'opportunità di uscire dalla Convenzione per i diritti dell’uomo (CEDU). La "juristocracy" fa paura
Nella diatriba che vede opposta la sovranità politica degli Stati da un lato e, dall’altro, le corti (nazionali ed europee, nella duplice articolazione CEDU/Corte di giustizia dell’UE) si è innestato di recente un ulteriore tassello. È salita infatti all’onore delle cronache la decisione della Corte di giustizia, che stabilito un “obbligo” per gli Stati membri di riconoscere il matrimonio di una coppia omosessuale contratto all’estero a garanzia della libera circolazione delle persone e del diritto alla vita privata e familiare riconosciuta dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cui peraltro l’Unione Europea nel suo insieme non aderisce).
La decisione non riguarda direttamente l’Italia, che offre lo strumento delle unioni civili per la registrazione di questi matrimoni, ma riguarda diversi Paesi membri, tra cui la Polonia e la Bulgaria, in cui le resistenze verso la UE sono all’ordine del giorno e si manifestano con maggior clamore proprio in quei casi in cui si tratta di questioni cosiddette “etiche”, connesse alla difesa dell’identità nazionale.
I casi di questo tipo stanno diventando frequenti e vanno dalla regolamentazione dell’immigrazione a livello nazionale (ma con importanti risvolti di diritto eurounitario) alle norme di contrasto al cambiamento climatico (caso Klima Seniorinnen che ha coinvolto la Svizzera, il cui Parlamento ha poi solennemente dichiarato di non volerne assolutamente sapere). Tanto che in Gran Bretagna il partito conservatore, nella sua ultima ultima assemblea, ha avanzato l’ipotesi di denunciare la Convenzione europea per contrasto con la loro linea politica in molte materie cruciali per le scelte di un Paese.
Brexit bis? La cosa non preoccupa i giudici di Strasburgo, i quali sostengono che i casi di contrasto tra la Convenzione e il diritto inglese sono quanto mai sporadici; ma il tema esiste e non cessa di riproporsi.
Siamo di fronte al tramonto della sovranità popolare incardinata negli Stati e nelle loro costituzioni? Il percorso di integrazione europea e di tutela sovranazionale dei diritti merita di essere rivisto con un ritorno alla valorizzazione della dimensione statale per contrastare il tentativo di spostare a livello sovranazionale non solo le decisioni giudiziarie su casi singoli, anche ma anche più ampie e complesse decisioni che riguardano, ultimamente, la politica generale degli Stati?
Le risposte possono essere molteplici e anche parzialmente diverse in relazione ai diversi livelli di governo coinvolti; un conto infatti è l’estensione dei poteri dei giudici internazionali (ed europei) rispetto agli Stati nazionali, un altro è lo scontro infra-statale tra organi giudiziari e organi politici che godono della piena legittimazione democratica (ma che talora esitano ad implementarla per contrasti interni al sistema politico o per semplice ignavia).
In ogni caso, i rischi connessi alla cosiddetta juristocracy sussistono e sono in via di espansione, essendo ben più agevole per gruppi di pressione anche potenti influenzare le decisioni giudiziarie piuttosto che entrare nei complessi meccanismi decisionali dei parlamenti.
In questo quadro – e nella prospettiva di ulteriori approfondimenti – va ricordato che il trend volto a spostare sempre più potere in sede giudiziaria e ad enfatizzare sempre di più la rivendicazione dei diritti e del principio di eguaglianza è facilmente percepibile, frutto di anni in cui il costituzionalismo concepiva se stesso come tutto orientato all’espansione dei diritti e dell’eguaglianza; mentre sempre meno si è ragionato sull’altro cardine del costituzionalismo, quello che avvalora la separazione dei poteri come argine oggettivo al potere nel suo complesso.
È questo un tema su cui puntare l’attenzione non per rivendicare (o rinnegare) glorie passate, ma per poter ricreare un sistema non schiavo della polarizzazione bensì orientato a costruire ponti, punti di collegamento che possano coagulare gli sforzi verso soluzioni ragionate e condivise, in cui ciascuno possa ritrovare il proprio posto e far si che ogni cosa – per chiosare Massimo Luciani – stia poi al posto suo.
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