Oscar, come altri suoi amici, ha tentato di rimanere in università, ma le sue “application” sono finite nel nulla, come tanti colloqui. E adesso?

Rivedo il mio giovane amico Oscar dopo 15 giorni dall’inizio della scuola. Dopo parecchie centinaia di chilometri che lui ha fatto con l’automobile che abbiamo comprato insieme quest’estate. Dopo i diluvi che lo hanno costretto a raggiungere una scuola dove insegna – arrivando dall’altra, dove ugualmente insegna – cambiando più volte itinerario per non finire nelle voragini che si aprivano nelle strade della provincia a ogni temporale.



Con lui ci sono due suoi giovani colleghi. Non parliamo molto dell’inizio dell’anno scolastico: inutile lamentarsi perché anche quest’anno si comincia senza sapere come si finisce, avendo il ministero cambiato nuovamente la maturità. Che assomiglia a quella che ho fatto io, dico ai tre giovanotti. E già questo basterebbe per riderci o piangerci su.



Inutile affannarsi intorno al tema principe del momento, l’uso e l’abuso dell’intelligenza artificiale. Tanto si sa che a scuola tutte le eventuali formazioni, gli eventuali aggiornamenti, le eventuali spese finiranno tutte in quel buco nero lì.

Non è che vogliano minimizzare la questione, è che questi tre giovani filosofi hanno cose da raccontarsi sulla loro carriera parallela. Parallela e immaginaria, ancora più di quella che Oscar almeno per qualche tempo è riuscito a intraprendere prima di arrivare qui.

Sono qui, al tavolo di un bar con dei personaggi da romanzo. Meravigliato, quasi allibito, ascolto Armando e il racconto delle vie crucis che ha percorso e percorre ancora per un dottorato, o per una borsa di studio, o per un qualsiasi contratto temporaneo di ricercatore presso le università di mezza Europa.



Per Oscar e Marcello non è che una conferma, quasi un ripasso, un flashback di esperienze appena vissute. A me invece sembra un viaggio in qualche girone infernale, una pagina di un racconto di Kafka o di Buzzati. Misteri e segreti, orrori e colpi di scena si susseguono senza tregua. E pare anche senza fine.

Armando ha fatto decine di application, mi pare che si chiamino così. E ciascuna è come quella scatola di cioccolatini di un famoso film, una scatola apparentemente ben infiocchettata dentro cui non sai mai che cosa potrai trovare.

Armando riceve notizia da un’università spagnola che il suo progetto è stato approvato. Poi un colloquio online. Poche questioni formali e poi il gioco è fatto, gli dicono. Attende qualche tempo, poi un mese, poi l’estate intera. Nessuna notizia. Scrive lui, allora. Sì, gli rispondono dopo una settimana, stanno definendo. Poi ancora silenzio. Riscrive. Intanto, chiede lui in una nuova mail, nel caso in cui vincessi la borsa, quale sarebbe il trattamento economico? Rispondono con celerità. E una certa aria di sufficienza: no, nessun trattamento economico. Pareva fosse implicito che la ricerca è la ricerca, si sa. Mai saputo prima.

Studenti in classe (Ansa)

Armando aveva già visto qualcosa del genere, ma con un’università inglese. Premiato il suo progetto, colloquio con il prof, pronti per partire. Quasi. Perché lì hanno chiarito subito che si sarebbe dovuto cercare degli sponsor per la sua ricerca. Addio Inghilterra.

E adesso anche addio Spagna. Che in verità non ha mai mandato una comunicazione sugli esiti dei colloqui, mai mandato una graduatoria, mai più risposto a nessuna mail di Armando.

Oscar ride un po’. E gli viene da dire che quasi quasi è meglio l’Italia. Armando conferma. Ma fino a un certo punto. Perché tra le decine di domande, esami, colloqui in concorsi che almeno davano notizie e motivazioni, racconta che negli ultimi giorni stava attendendo l’esito di un concorso in una bella università delle sue parti. Quanti hanno partecipato? Quale è stata la graduatoria dei progetti? Come hanno valutato i titoli? Mancavano tre giorni al colloquio, che si doveva fare in presenza, e ancora nessuna pubblicazione di nessun esito.

Solita mail di Armando. Che succede laggiù? Risposta interessante e inquietante insieme: non siamo pronti, comunque lei dovrebbe sostenere il colloquio. Forse. “E quando lo so con precisione?” Prenotare un treno, magari un albergo così, brancolando nel buio, non gli sembra un buon affare.

Armando chiede almeno di poterlo fare online, se i tempi non consentono altro. E i tempi non consentono. Infatti solo alla mezzanotte del giorno prima del colloquio arriva la notizia: domani lei farà il colloquio. Alle ore tot, online. Che gentili. Valutazioni, numero dei candidati, tutto pronto.

A mezzanotte Armando sa che non moltissimi candidati sono stati ammessi. Ma che tre di loro hanno un punteggio che è quasi il doppio di quello degli altri. E che se anche questi altri prendessero il massimo nel colloquio e quei tre prendessero il minimo, quei tre vincerebbero la borsa di studio. E verranno pagati.

Era tutto già deciso? Viva l’Italia, allora? Con trucchi, ricchi premi e cotillon meglio che la grande Europa? Forse né l’Italia né l’Europa hanno più bisogno di filosofi. Tanto c’è l’intelligenza artificiale.

E torniamo lì, io e i tre giovani professori, da dove non volevamo partire. Ne ha ancora di storie, Armando. Ma forse ce le racconta un’altra volta. Il cielo è di nuovo nero. “Meglio scappare, prima che anche la grandine si accanisca sull’auto che ho appena comprato”, dice Oscar. Giusto. Anche il cielo sembra cospirare contro i filosofi e le loro speranze.

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