Il Ministro Fioramonti si è detto giustamente sorpreso del testo, inserito nella bozza di legge di bilancio, sulla creazione dell’Agenzia nazionale della ricerca. In effetti, a leggere quanto circola in rete, si rimane sconcertati. E non soltanto perché il modello è ben lontano da quelli esistenti in Paesi a noi simili e vicini, come ad esempio quello francese. Ma soprattutto perché la soluzione formulata, secondo il Ministro, da “un paio di burocrati in un fine settimana”, è contraria alla Costituzione. Anzi, con una semplicità allarmante sembra risolvere una questione da lungo tempo dibattuta – l’individuazione di un equilibrato rapporto tra politica e ricerca – aprendo la strada, nello stesso tempo, a scenari preoccupanti per l’impianto liberale e democratico del nostro Stato.
Nella bozza della legge di bilancio è scritto, infatti, che l’istituenda Agenzia, tutta di nomina governativa e collocata presso la Presidenza del Consiglio, avrebbe innanzitutto il compito di “indirizzare le attività di ricerca di università, enti e istituti di ricerca pubblici” verso, tra l’altro, “obiettivi di politica economica del Governo funzionali alla produttività e alla competitività del Paese”. Insomma, la ricerca pubblica, in primo luogo quella che si svolge nelle Università, sarebbe complessivamente asservita agli indirizzi del Governo. E come la mettiamo, allora, con la libertà della scienza – e quindi della ricerca – che è a chiare lettere garantita dall’art. 33, primo comma, della Costituzione? E che fine fa l’autonomia che l’art. 33, sesto comma, garantisce espressamente alle Università e alle istituzioni di alta cultura?
La Costituzione repubblicana, nata dopo e contro il fascismo, ha voluto sancire che non vi è, né può esservi scienza di Stato, né, tanto meno, cultura o ricerca di Stato. Nel senso che la scienza e la ricerca, anche quando sono direttamente organizzate e finanziate dallo Stato, non possono essere indirizzate verso obiettivi vincolanti stabiliti dall’autorità politica che si trova momentaneamente alla guida del Paese. E ciò non potrebbe avvenire neppure sulla base di una presunta “politica economica del Governo”, di cui nella Costituzione non vi è traccia alcuna come legittimo fondamento di limiti o condizionamenti della ricerca.
Anche senza ricorrere a troppa fantasia, poi, la soluzione proposta consente prospettive inquietanti in quei settori della ricerca (come la medicina, la farmacologia o la genetica) dove sarebbe ancor più breve il passo dalla già inammissibile ricerca di Stato all’ancor più temibile Stato etico. Rispetto agli “indirizzi del Governo”, per di più, non vi sarebbero garanzie a tutela delle minoranze e soprattutto dei soggetti più deboli e fragili.
Auguriamoci allora che non si tratti di voce dal sen sfuggita, ma di un lapsus cui si rimedierà con una rapidissima correzione e riformulazione del testo. Talora, come noto, le soluzioni maldestramente improvvisate producono danni considerevoli. E’ auspicabile che non si traducano in un male irreparabile.