Colpiti impianti atomici, stretto strategico blindato. La provocazione USA di Donald Trump scuote equilibri mediorientali e rotte energetiche.
Il cosiddetto bluff di Donald Trump rivela tutta l’irresponsabilità del Presidente degli Stati Uniti. I quindici giorni di attesa, il desiderio frenetico di essere costantemente protagonista su ogni scacchiere geopolitico, gli ha fatto perdere ogni buon senso (tanto per cambiare) e così, nelle prime ore del 22 giugno, ha attaccato direttamente con le bombe pesanti tre siti nucleari dell’Iran, all’interno delle montagne. Secondo alcuni esperti, è difficile stabilire quale risultato militare abbia ottenuto.
Ma certamente ha mantenuto un’assurda ribalta di primo piano, facendo comprendere che il vero protagonista di un nuovo e ipotetico quadro geopolitico mediorientale dipende da lui, dagli USA, cadendo così nella “trappola” degli israeliani, che da oltre una settimana bombardano incessantemente l’Iran e subiscono a loro volta dei lanci missilistici e di droni.
Insomma, dagli scambi missilistici, dalla situazione tragica che tocca i palestinesi e gli abitanti di Gaza, si è passati a un vero stato di guerra, ma senza dichiarazione, come ormai è consuetudine, e alla vigilia di quello che può diventare un autentico disastro mondiale.
La logica dell’attacco americano manifesta chiaramente una volontà di protagonismo aggressivo. Ma c’è qualcosa di più pericoloso da mettere in conto.
A questo punto, la destabilizzazione del Medio Oriente sarà lunga e difficile. Da un punto di vista militare, Israele è in grado di reggere benissimo attacchi e contrattacchi per una guerra di breve durata. Poi deve concludere. Ben diversa è la forza militare degli Stati Uniti, che possono condurre una guerra molto lunga. Ed è questo, quindi, che fa pensare a un lungo conflitto, che potrebbe allargarsi e che potrebbe portare a un autentico disastro.
Intanto, c’è da considerare che tutta la zona avrà ripercussioni che derivano dalla guerra in corso. La prima è la già decisa chiusura, chiesta dal Parlamento iraniano, dello stretto di Hormuz. Questo è uno stretto di mare lungo 60 chilometri e largo 30 ed è un punto di estrema importanza strategica, poiché vi transita circa un quarto della produzione mondiale di petrolio. Si può immaginare, quindi, in un momento come questo, di difficoltà e di instabilità economica mondiale, quale portata può assumere il blocco di quel tratto di mare.
Sinora le reazioni di altre grandi potenze come Russia e Cina sono state nette, di condanna dell’intervento americano, ma limitate al momento solo a dichiarazioni che sono parse inevitabili, senza, fortunatamente, promettere risposte di alcun tipo.
Diversa, inevitabilmente, sarà la posizione delle due potenze se la guerra si protrarrà.
Ora appare evidente che tutta la questione mediorientale è estremamente complicata da decenni. Dalla risoluzione dell’ONU del 1948, che non si è mai realizzata perché prevedeva la creazione dei due Stati, quello israeliano e quello palestinese, passando per la guerra del Kippur, poi il Libano. E mentre l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) non riusciva a realizzare i suoi obiettivi e Israele scivolava verso le forze più intransigenti e conservatrici.
Tutta questa storia complicata, mai affrontata con uno spirito di pacificazione, è scivolata nell’aggressività di Israele e delle formazioni terroristiche che l’Iran ha foraggiato. E tutto questo mentre, contemporaneamente, avveniva la definitiva caduta della diplomazia e degli organismi internazionali, che sembrano completamente svuotati di ogni potere.
Le colpe sono molteplici, ma intanto il Medio Oriente è diventato un incendio che non si limita a quella sola zona, ma, per i rapporti tra gli Stati, può influenzare tutto il mondo.
Certo che, al posto di promuovere il dialogo tra i Paesi del mondo, al posto di risolvere i problemi che si affacciano in questa complicata epoca storica, il “sigillo” dell’intervento di Donald Trump ha aggravato ancora di più la situazione.
