Gli USA vogliono mantenere il cessate il fuoco, ma altre milizie occupano il terreno che prima era di Hamas: c’è il rischio di uno scontro a Gaza
Gli Usa mandano Steve Witkoff, Jared Kushner e J.D. Vance in Israele per ribadire che il cessate il fuoco non deve essere violato. Una visita nella quale il vicepresidente USA ha mostrato ottimismo sul rispetto dell’accordo per Gaza, parlando addirittura di pace che durerà e promettendo clemenza per i miliziani che deporranno le armi. Poche ore dopo Hamas avrebbe deciso (secondo il Wall Street Journal) che le esecuzioni sommarie messe in atto in questi giorni verranno sospese.
Eppure, osserva Bernard Selwan Khoury, direttore italo-libanese del Centro studi sul mondo arabo Cosmo, proprio questo è uno dei pericoli che si sta correndo nella Striscia. Israele paga delle milizie, dei clan, per erodere il controllo del territorio da parte di Hamas, che prima ancora delle azioni di Israele deve guardarsi dall’opposizione interna. Intanto americani e arabi pensano alla forza che dovrà garantire la sicurezza a Gaza, nella quale potranno avere posto anche gli italiani.
Vance dice che l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza regge e il pessimismo è ingiustificato. Come si spiegano le sue parole e la missione USA della quale il vicepresidente fa parte con Witkoff e Kushner?
Le dichiarazioni di Vance confermano l’orientamento del presidente Trump, che si sta giocando una parte importante della sua immagine politica. Il fatto che sia stata inviata una delegazione di così alto livello riflette quanto gli Stati Uniti si siano esposti nel raggiungimento del cessate il fuoco.
La tempistica di questa visita è importante. Arriva a undici giorni dalla fine delle ostilità e a pochi giorni dalla presunta violazione da parte di Hamas, dall’incidente di domenica nell’area di Rafah, fuori della Yellow Line, che dovrebbe essere sotto il controllo israeliano. Intervenendo subito, gli USA confermano di essere in prima linea per fare in modo che questo accordo non si fermi e che sia la prima pietra di un processo di pace che possa ripartire dalle macerie di Gaza.
Il vice di Trump ha visitato il centro di coordinamento del cessate il fuoco, ma intanto si sta parlando di una task force che dovrà garantire la sicurezza nella Striscia: chi ne farà parte?
Coinvolgerà diversi Paesi occidentali, presumibilmente anche l’Italia, i cui uomini hanno grande esperienza a operare in queste condizioni. In questi mesi, tra l’altro, i carabinieri hanno già prestato servizio a Rafah. Non c’è ancora, però, un quadro chiarissimo di chi farà parte della forza di sicurezza, però ci sono dei punti cardinali.
Occorre tenere conto di un elemento importante, la presenza di Paesi arabi, che in questo accordo hanno giocato un ruolo da protagonisti. Ci sono l’Egitto, il Qatar e bisognerà vedere che ruolo vorranno giocare Turchia ed Emirati Arabi Uniti. La visita di Vance conferma la pianificazione di questa attività.
Trump dice che ha frenato Israele che voleva intervenire contro Hamas, sostenendo che se i miliziani non rispetteranno gli accordi saranno attaccati in modo brutale. Eppure secondo alcuni analisti l’organizzazione palestinese potrebbe avere 20mila uomini. Come si risolverà il problema?

Adesso gli equilibri a Gaza sono in una fase di radicale cambiamento. Dopo il cessate il fuoco stanno emergendo quotidianamente e si stanno rafforzando una serie di milizie, di clan, che sono anti-Hamas. Si tratta di gruppi supportati da Israele con l’obiettivo di esercitare in maniera indiretta il controllo su una parte del territorio. Sono milizie dislocate dal sud, quindi da Rafah, fino al nord della Striscia, e anche in altre aree, per indebolire il controllo esclusivo di Hamas.
Bisogna prendere atto di questo riequilibrio dei poteri sul terreno. I filmati che abbiamo visto negli ultimi giorni di esecuzioni da parte di Hamas contro individui ritenuti traditori o affiliati a Israele rientrano proprio in questo cambiamento di paradigma.
Sì, ma Hamas sta ancora prevalendo? Quanti uomini ha davvero?
Quantificare il numero di combattenti attivi da parte di Hamas non è un’operazione semplice, oggi però si trovano a gestire anche un conflitto interno: più che una ripresa degli scontri con Israele c’è il rischio di un conflitto intra-palestinese. È chiaro che si tratta di una strategia disegnata a tavolino dagli israeliani per erodere l’immagine di Hamas agli occhi dei gazawi. Poi c’è la questione del disarmo.
Come si può far deporre le armi ad Hamas?
La questione del disarmo è uno dei punti più controversi dell’accordo, lo abbiamo visto anche per Hezbollah in Libano. Il disarmo di un’organizzazione che radica la sua identità proprio nell’uso delle armi significa il suo annientamento, per rinascere eventualmente con un ruolo solo politico. Hamas ha bisogno di garanzie per rinunciare alla sua identità. Non è un passaggio banale.
In queste ore in Israele è arrivato anche il capo dell’intelligence egiziana per incontrare gli americani e Netanyahu. Cosa vuol dire?
È una ulteriore conferma che sul cessate il fuoco si fa sul serio. Fra egiziani e israeliani negli ultimi mesi ci sono state diverse frizioni, questa visita dice che si sta cercando di far scendere la tensione.
(Paolo Rossetti)
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