VISTI DA SINISTRA/ Conte si dimette e pensa al voto (con Zingaretti)
Conte sa bene di no potersi affidare ai responsabili. Con il Pd si impegna per un governo ter, ma nello stesso tempo coltiva l’idea di nuove elezioni

Il treno dei desideri spesso “all’incontrario va”. Siamo ormai alle battute finali della crisi politica aperta un paio di settimane fa da Italia viva e inevitabilmente i passaggi diventano più fitti e veloci e meno decifrabili. E diventa pressoché impossibile distinguere i desideri dai reali obiettivi dei contendenti. Quello che è certo è che i due partiti che si fronteggiano da settimane (quello del “via Conte” e quello del “senza Conte non si va da nessuna parte”) hanno messo nelle mani del presidente del Consiglio la decisione più rilevante. E Conte ieri sera ha deciso di andare da Mattarella e rassegnare le sue dimissioni.
Quindi ora non ci rimane – seguendoli a ritroso – che partire dai desideri del premier. Non si può certo contestare a Conte la capacità di resistenza. Niente male per un novello della politica. L’avvocato del popolo ha retto molto bene nelle due giornate parlamentari all’offensiva renziana. E alla prova dei fatti è stato bravo a svelare come Renzi non avesse la possibilità concreta di assestare il colpo decisivo. Il fondatore di Italia viva non se l’era sentita di cambiare il voto dei suoi senatori – da astensione in voto contrario – nei concitati minuti tra la prima e la seconda “chiama” al Senato. Poteva assestare il ko ma non lo ha fatto, lasciando abbastanza chiaramente intendere di avere la pistola scarica.
Da quel momento Conte ha assunto il comando delle operazioni sul campo. E non solo del Movimento 5 Stelle, che ovviamente sa di dipendere da lui. Ma anche il Pd si è via via lasciato convincere di non avere alternative dal difendere Conte in nome di un’alleanza che ha faticato non poco a costruire. Mai come in questo momento il centrosinistra ha ritrovato – anche nei sondaggi – una capacità competitiva con il centrodestra davvero insperata. Conte però con il passare inesorabile dei giorni dal voto in Senato si è reso conto della debolezza della prospettiva di mettere assieme un gruppo raccogliticcio di fedelissimi. Per di più diventati all’improvviso troppo esigenti. Così ha incominciato a coltivare l’idea di spingere la situazione verso nuove elezioni.
L’idea del voto non appare più una prospettiva disastrosa per i 5 Stelle. Le percentuali di cui i sondaggi accreditano la lista del premier compensano le perdite ormai date per scontate. Così il Pd.
Nicola Zingaretti ha sempre considerato ragionevole – in presenza di una situazione sfilacciata – il ricorso al voto, tanto più che la colpa oggi ricadrebbero interamente su Renzi che ha aperto la crisi e sulla scelta di Conte. Dopo una breve infatuazione per una nuova legge elettorale proporzionale, oggi il Pd riscopre i vantaggi del Rosatellum. Ritornare competitivi in quasi tutti i collegi del Centro-Sud sposta lo scontro decisivo nel Nord del paese. La partita è ritornata aperta, e non si capisce onestamente quale sarebbe un momento migliore di questo per giocarla. Senza contare la soddisfazione di vedere Renzi e il suo partitino fuori dal parlamento.
Sul fronte del centro-destra al momento sembra prevalere la compattezza in nome di nuove elezioni. E non sembrano esserci forze sufficienti in Forza Italia per imprimere una svolta alla situazione.
Come tutti sanno la “deadline” del semestre bianco si avvicina e non ha senso per l’attuale maggioranza mettere nella mani di una piccola pattuglia di senatori (renziana o centrista, pari sono) la “golden share” per un governo di unità nazionale. Con buona pace per tutti quelli che da settimane non fanno altro che invocare la grande coalizione, il governo di tutti, la scesa in campo di tecnici super partes. Al momento anche questi non sono che semplici desideri. Quindi si lavorerà per un Conte ter, ma senza particolari patemi d’animo.
Per il centro-sinistra dunque la partita è decisamente più aperta di un anno e mezzo fa. Dopo la svolta in Europa del Movimento 5 Stelle sembra davvero difficile immaginare che gli italiani possano affidare la relazione più importante per il futuro del paese a forze che in Europa siedono tra i banchi dell’opposizione della destra sovranista. E poi – come insegna la recente vicenda americana – se gli italiani vogliono proprio questo non è arrivato forse il momento di accontentarli?
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