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Home » Esteri » Usa » WOKE/ E cancel culture: un’ideologia ingannevole ma dalle gambe corte

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WOKE/ E cancel culture: un’ideologia ingannevole ma dalle gambe corte

Giorgio Laici
Pubblicato 12 Agosto 2023
Guerriglia urbana a Minneapolis dopo l'uccisione di George Floyd (LaPresse)

Guerriglia urbana a Minneapolis dopo l'uccisione di George Floyd (LaPresse)

Il movimento woke, nato negli Stati Uniti, è arrivato anche da noi diffondendo a piene mani il suo conformismo repressivo. Ma è una bugia dalle gambe corte

Il movimento woke è un fenomeno nato negli Stati Uniti e significa risveglio, cioè lo “stare svegli”, stare in guardia, il diventare “consapevoli” delle ingiustizie sociali e razziali. È un movimento che si è sviluppato ad una velocità inaspettata, che parte dall’appartenenza razziale ed identitaria per arrivare alla necessità di prassi compensative delle colpe occidentali del passato. La caratteristica fondamentale del movimento è quella di voler cambiare il modo di interagire delle persone e scardinare gruppi di potere privilegiati. La manifestazione più appariscente dell’ideologia woke è la “cancel culture” che con furia iconoclasta intende cancellare nomi, fatti e personaggi occidentali o sostituirli con altrettanti provenienti da culture minoritarie. Tutto questo per rimediare, ora per allora, a veri o presunti soprusi di un passato coloniale.


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Non intendo sminuire o delegittimare le rivendicazioni delle minoranze e degli oppressi in generale, né discutere sui mezzi attuati per promuovere i diritti civili. Come saremmo noi oggi se Cesare Beccaria, voce solitaria,  non avesse cominciato a parlare al mondo di abolizione di tortura e pena di morte come rivendicazione di diritti civili? A partire da Salvemini e Corridoni passando anche per l’officina “Stella Rossa” di Mirafiori, quale sarebbe oggi la condizione dei nostri genitori in fabbrica senza le proteste o anche le violenze che sono avvenute? Così è stato anche per la donne e per tutta la lunga lista delle categorie degli oppressi e dei marginalizzati dalla società.


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Agli inizi, le cause delle minoranze avevano risvolti importanti per tutti. Il riconoscimento dell’interesse particolare del “debitore incolpevole” di Beccaria aveva effetti positivi universali a favore dello sviluppo civile e sociale. Come oggi potrebbe essere la causa della parità di genere. Invece  la ricerca spicciola del consenso, la facile teoria del “noi” contro “loro”, spinge le giuste rivendicazioni verso tragiche bufale concettuali. Se non si vendono diritti televisivi per gli sport femminili, si fatica a trovare sponsor per gli eventi; ma allora come si fa a pensare che gli atleti e le atlete possano avere la stessa remunerazione?


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Inoltre oggi, diversamente dal passato, molte cause delle minoranze ed i sistemi attuati per farle emergere non hanno la stessa connotazione. Partono da presupposti fumosi e torbidi per rileggere la storia con valori odierni. Hanno metodi estremi e ossessione vittimistica, corroborati da suggestioni irreali e bugie. L’eventuale eccessiva violenza della polizia, per quanto esecrabile, può essere contestata come funzionale a tutta l’istituzione? Cercare di abbattere la statua di Fedor Dostoevskij a Firenze perché è russo significa voler riscrivere la storia in base alla politica odierna. Significa voler cancellare una pagina della cultura e della storia dell’uomo, cioè le nostre radici.

Ultimamente ha fatto molto scalpore la docuserie di Netflix dedicata a Cleopatra. Secondo la sua produttrice Jada Pinkett Smith, infatti, Cleopatra era nera. In realtà è storicamente provato che la regina era discendente di Tolomeo, generale di Alessandro Magno, in una dinastia greca che pur di non mescolarsi con l’etnia africana praticava l’incesto. L’immagine della regina sulle monete, col caratteristico profilo, ci dice che era greca. Il nome stesso Cleopatra deriva dal greco e significa “gloria del padre”. Secondo la produttrice invece Cleopatra era nera ed ha affidato la parte cinematografica regale ad una attrice afroamericana, Adele James. Pinkett Smith ha argomentato questa scelta con l’approfondito supporto scientifico della propria madre, che le diceva “non importa cosa ti dicono a scuola, Cleopatra era nera”. Insomma, la fantasia al potere.

L’ideologia woke ha velocemente preso quota nelle grandi aziende che tentano in ogni modo di propagandarla, con la produzione ma anche con la pubblicità. Pensiamo alla Disney, con la nuova Biancaneve senza principe azzurro e neppure i nani. Pensiamo a George Soros, e alla sue Open Society Foundations, che finanziano attività e partiti vicini all’ideologia woke. Succede però che sia lo stesso mercato stesso a punire i manager attivisti woke. Uno per tutti il caso emblematico della birra Bud Light, che un nuovo responsabile pubblicitario voleva connotare inclusivamente, ricorrendo all’immagine di un influencer transgender. La birra era al primo posto nei consumi degli americani e aveva il suo mercato di riferimento tra i cosiddetti colletti blu della classe operaia americana. Quando la casa madre ha deciso di virare la sua immagine verso il tema dell’inclusione, in qualche modo irridendo i propri consumatori, questi hanno smesso di consumare la birra. I profitti della Bud Light sono crollati, stabilimenti di produzione sono stati chiusi, molti lavoratori sono stati licenziati. Lai birra ha perso il primo posto nei consumi statunitensi ed anche la quotazione in borsa ne ha molto risentito. Il testimonial stesso della campagna, il transgender Dylan Mulvaney, ha accusato la Bud Light di transfobia per aver abbandonato la campagna pubblicitaria.

Se non arginiamo sotto il profilo culturale questa marea totalitaria, rischiamo di creare una generazione di vittime di mestiere pronte a dichiararsi offese da qualunque cosa per ottenere un ritorno morale o materiale, e per ostracizzare l’avversario.

Il problema è serio perché alla base della cancel culture c’è la volontà di segare rami sempre più grandi della cultura e della storia occidentale. Ma non otterremo l’inclusione discriminando. Negli Usa, luogo di origine del movimento, in alcuni college addirittura è stato chiesto di interrompere lo studio della matematica, perché disciplina oppressiva inventata dai bianchi. Recentemente la filosofa Kathleen Stock, dell’Università Britannica del Sussex, lesbica femminista, è stata costretta a dimettersi dopo un violento boicottaggio per aver dichiarato che il sesso biologico è una realtà inalienabile. Giova ripeterlo: non è opprimendo una parte della cultura che ne possiamo liberare un’altra. Inutile dire che iniziative come questa hanno creato una forte opposizione al movimento woke ma non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia. Ricordando Francisco Goya, il sonno della ragione potrebbe sfociare in un pericoloso conformismo. Dedichiamo dunque più spazio di discussione ed approfondimento a questo fenomeno superficialmente condivisibile ma in realtà molto pericoloso.

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