DIARIO DA L’AQUILA/ Lo stanco rito del voto in una città “a due velocità”

- La Redazione

Due mesi dopo il terremoto, all’Aquila si è votato. Non c’è stata campagna elettorale, praticamente nessuno conosce i candidati, men che meno quei pochi abruzzesi che sono inseriti nelle liste. E in molti manca la speranza, nonostante l’orgoglio iniziale. Il diario di FABIO CAPOLLA

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Due mesi dopo il devastante terremoto. Sessanta giorni sono passati ma la situazione non è di quelle positive. La dimostrazione, tra le altre, è la voglia dei cittadini dell’Aquila di recarsi alle urne per votare. Un andamento lento, stanco. Non c’è stata per nulla la campagna elettorale, praticamente nessuno conosce i candidati, men che meno quei pochi abruzzesi che sono inseriti nelle liste. L’Europa sembra lontana anni luce, anche se dall’Europa sono arrivati veramente tanti attestati di solidarietà. Solidarietà concreta, fatta di aiuti, di contributi per la ricostruzione. Ieri, sabato, alla chiusura delle urne aveva votato poco più del 9%. I seggi dentro le tende, come qualsiasi altra cosa della quotidianità. La tenda, elemento tanto precario quanto reale. Umida quando piove, bollente sotto il sole, gelida di notte. Ma la tenda rimane la struttura più importante per riuscire a gestire la vita di tutti i giorni.

Anche l’Esercito italiano è sceso in campo per aiutare chi deve votare. La Regione ha messo a disposizione pullman per chi è sfollato sulla costa adriatica. Ma la risposta rimane comunque scarsa. Pullman mezzi vuoti, sicuramente superiori rispetto alla richiesta reale. Vota la gente di mezza età. I giovani sembrano sfiduciati, comunque lontano dal richiamo delle istituzioni. Anche gli anziani, ancora tanti nelle tendopoli, sono diffidenti verso quella scheda arancione.

Sono passati due mesi dal 6 aprile. Tutti hanno avuto modo di rivedere la propria casa, vederla classificata con una lettera da A ad E dai tecnici. Una pagella, come a scuola. Chi è fortunato ha A, una casa dove può, anzi deve rientrare entro quindici giorni dal collaudo del gas. Le case classificate E sono destinate alla distruzione, ammesso che non siano già crollate. Ma non c’è il desiderio reale di tornare a casa, non c’è la certezza di poter iscrivere i propri figli a scuola a L’Aquila, e quindi di ricominciare a settembre una vita “normale”. Nell’incertezza c’è chi sceglie di andare a vivere altrove, trovare una scuola sicura, un’istruzione certa.

Quest’aria di incertezza che si respira coinvolge la maggioranza della gente. E in molti si chiedono quanti saranno gli abitanti dell’Aquila tra qualche mese. Una situazione sicuramente difficile da affrontare vista la burocrazia, i tempi lunghi. Quando sono entrato nella mia vecchia redazione e ho visto tutto per terra, distrutto, inutilizzabile anch’io ho pensato che il futuro è difficile. Ma per la prima volta ho preso coscienza del fatto che i beni materiali non fanno parte del nostro destino. Vedere quel soprammobile, quell’oggetto a cui tenevo tanto, che non avrei mai ceduto distrutto, inutilizzabile, perso, mi ha messo di fronte a ciò che veramente conta, ciò che nella nostra vita ha un senso. Per il resto basta una scossa di terremoto per cancellare tutto.

A L’Aquila serve un percorso che dia speranza. In molti manca la speranza, nonostante quell’orgoglio iniziale che ha messo gli aquilani in mostra davanti a tutto il mondo, che ha evidenziato la loro dignità di fronte a un dramma così grande. Le parole di Papa Benedetto XVI in visita sulle rovine della città sono state stampate e distribuite. Devono essere di richiamo continuo per indicare una strada da percorrere. Chi scopre L’Aquila ora vede una città a due velocità. Da una parte coloro che lavorano e credono nella ricostruzione, dall’altra quelli che hanno visto i seggi dentro le tende e sono rimasti nel loro isolato silenzio.

(Fabio Capolla – Giornalista de Il Tempo)







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