SPY FINANZA/ Così l’euro sta facendo a pezzi l’Italia (ma non la Germania)

- Mauro Bottarelli

L’alto cambio rispetto al dollaro, spiega MAURO BOTTARELLI, è solo l’ultimo dei problemi che l’euro sta comportando per la nostra economia, provata duramente dalla recessione

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Tranquilli, l’Europa è fuori dalla recessione. Trainato dal fenomeno Spagna e dal suo Pil al +0,1% garantito dal turismo estivo, il Vecchio Continente finalmente vede la luce alla fine del tunnel. Peccato che sia un treno in corsa pronto a spiaccicarlo. Non lo dico io, notoriamente euroscettico, ma Eurostat, l’agenzia di statistica europea, che ieri ha reso noto i dati su disoccupazione e inflazione. Dopo il calo registrato nel mese di agosto, a settembre il tasso di disoccupazione è salito dal 12% al 12,2%, un nuovo record con altri 73mila europei ora senza un lavoro. Come non essere ottimisti? Vedendo poi il dato della disoccupazione giovanile nell’Europa a 17, le cose si fanno ancora più rosee: a settembre 24,1% dal 24% di agosto. E chi ha guidato questo aumento? La Spagna, la stessa che dovrebbe essere fuori dalla recessione: nel Paese iberico i non occupati under-25 sono al 56,5%, a Cipro al 43,9% (un anno fa era al 28%, la cura della troika ha funzionato anche qui), in Portogallo al 36,9% e in Grecia al 58%, come dimostra drammaticamente il grafico a fondo pagina.

E l’inflazione, il fantasma di Weimar che sta giustificando da almeno tre anni l’austerità tedesca che sta scassando l’Europa? È allo 0,7%, giù dall’1,1%, il dato più basso dal 2009: in compenso, l’euro ha toccato il massimo da due anni sul dollaro. Il combinato perfetto per uccidere i paesi cosiddetti periferici e mantenere in sella la Germania. Che cifre, cari lettori, tirate fuori le bollicine dal frigorifero, c’è da festeggiare!

E l’Italia? Per quanto ci stiano raccontando in questi giorni di fibrillazioni governative, non c’è stabilità che tenga: siamo destinati a un destino cupo. Il problema è che i giornali e i politici vi dicono ciò che fa loro comodo: ovvero che lo spread è basso, il nostro debito appetibile, i fondi garantiscono inflows nei nostri assets (lasciate stare che sono operazioni speculative per far soldi a breve) e l’indice Ftse Mib è passato da 14.860 e 19.496 punti, con open interest da Bengodi. La componente economica dell’indice di fiducia del nostro Paese è salita come per miracolo da 71.7 a 91.6 in un mese, nonostante il nostro Pil sia calato del 9% dai massimi, il debito pubblico continui a salire e alle spalle abbiamo due anni di recessione. Ma fossero questi i problemi. La massa monetaria M3 si è contratta negli ultimi cinque mesi, passando da 1,329 triliardi a 1,312 triliardi e la massa M1 a sei mesi – la cosiddetta “gauge” – ha già dato vita al roll-over. Ma signori, il mercato festeggia e per i nuovi profeti dell’ottimismo, la fiducia degli investitori è il balsamo miracoloso che riesce a far scorrere i meccanismi dell’economia.

Peccato che la produzione industriale sia scesa del 4,4% in agosto, con i nuovi ordinativi al -6,8%. Bankitalia ha certificato che il credito verso aziende non finanziarie è sceso del 4,6% annualizzato in agosto, peggio del dato di luglio. La fiducia degli imprenditori è scesa al 79.3 a settembre, ai livelli pre-Lehman e il Pil si contrarrà ancora nel terzo trimestre. La ratio debito/Pil è salita di 15 punti percentuali negli ultimi 15 mesi, semplicemente perché non c’è crescita, frutto avvelenato dell’austerity e del moltiplicatore fiscale. Signori, siamo sulla stessa traiettoria della Grecia. Identica. E la crescita? Il governo parla di un +1% l’anno prossimo, a salire fino al +1,7% nei tre anni successivi: come sia possibile non è dato a sapersi, visto che durante gli anni del boom globale, l’Italia ha faticato a raggiungere l’1% di crescita. Grazie a quel miracolo, stante le attuali condizioni macro, potrà arrivare all’1,7%? Chiedetelo a Saccomanni. E le prospettive non sono rosee in assenza di crescita, almeno allo 0,6% dei livelli pre-crisi: il debito salirà di un altro 5% del Pil ogni anno, quindi rischiamo di raggiungere entro tre anni la ratio debito/Pil al 150%.

Senza una moneta sovrana, si fallisce a quei livelli. Anche perché, viste le scelte della Bce, il nostro Tesoro è stato indotto a emettere debito a breve termine, visto che l’arco di garanzia dell’Eurotower è entro i tre anni. Detto fatto, la maturity media del nostro debito è scesa da 7,6 a 6,4 anni, portando con sé notevoli rischi di roll-over che potrebbero concretizzarsi in test molto severi e rischiosi per il primo trimestre del prossimo anno.

C’è poi la questione del tasso di cambio dell’euro, salito dell’8% contro il dollaro dallo scorso giugno e destinato a salire ancora, visto che il membro austriaco della Bce, Ewald Nowotny, ha detto chiaro e tondo che «i politici europei devono imparare a convivere con l’euro forte». Questo in un mondo in cui la Bank of Japan sta sparando con il bazooka e ha già svalutato lo yen del 22%, mentre la Banca centrale svizzera sta mantenendo il cambio del franco a 1,20 a ogni costo. E l’economia italiana, a causa della tipologia di produzione (molto sensibile al prezzo), dipende dal tasso di cambio per il 67%, contro il 40% della Germania. Come ritrovare produttività e competitività in questo scenario appare un vero mistero. In compenso, questa situazione ha garantito alla Germania un surplus di 1,4 triliardi di euro, circa il 50% del Pil tedesco.

Eppure, al netto della situazione penalizzante impostaci dall’euro, l’Italia non è certamente la peggiore della classe, potenzialmente: la nostra posizione di investimento netto internazionale è -30% del Pil, contro il -92% della Spagna e il -100% del Portogallo, mentre l’avanzo primario del 2,5% del Pil ci rende i più virtuosi dell’eurozona. Il problema è uno solo: il tasso di cambio dell’euro, troppo alto e penalizzante.

Occorre rivedere le politiche della Bce, rinegoziare patti e Trattati (Fiscal Compact in testa), occorre giungere a una svalutazione competitiva e un aumento dell’inflazione verso l’obiettivo impostosi dalla Bce, ovvero il 2%. Oggi siamo allo 0,7%, c’è margine di intervento per l’Eurotower, se volesse e potesse agire. Ma proprio l’altra sera, tanto per far capire chi comanda, il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, ha detto chiaro e tondo che «i default sovrani e bancari devono essere possibili». Devono, un’imposizione chiara e tonda. Attenzione, il tempo stringe. Poi sarà troppo tardi e non basterà nemmeno allungare le maturities o tagliare i coupons del nostro debito, comunque atti che faranno muovere le agenzie di rating verso un downgrade: sarà ristrutturazione. Vera e pesante, eterodiretta ed eterogestita. Se questa è la prospettiva, forse allora è meglio cominciare a pensare davvero come andarcene dall’euro.

 

P.S.: Ricordate come da quasi due anni vi dicessi come Facebook rappresentasse la più grossa fregatura del secolo in Borsa? Bene, ieri, a un anno e sei mesi circa dal collocamento a Wall Street, il titolo è entrato in “bear market”, viaggiando al di sotto del 20% dai massimi, nonostante un mercato completamente drogato dai soldi della Fed, il “margin debt” ai massimi e gli indici che disintegrano un record dopo l’altro. Nessuno, però, scommette su Facebook, nemmeno col denaro a costo praticamente zero. Le banche collocatrici sentitamente ringraziano qualche milione di gonzi.





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