DALLA GRECIA/ Così Tsipras prova a “ricattare” l’Ue

- Sergio Coggiola

Syriza festeggia il secondo anniversario della vittoria del gennaio 2015. E Tsipras sembra pronto a giocare una partita pericolosa con l'Europa, spiega SERGIO COGGIOLA

Tsipras_Alexis_ProfiloR439 Alexis Tsipras (Lapresse)

Syriza si fa la festa per il secondo anniversario della vittoria del gennaio 2015. L’anno scorso, a settembre, aveva festeggiato il primo anniversario della vittoria del settembre 2015. Ma la festa sembra un matrimonio con i fichi secchi, quelli offerti dai creditori. Matrimonio con il “popolo” ellenico comunque già andato in crisi, almeno stando ai sondaggi che vedono Syriza in caduta libera. A leggere il comunicato di Syriza, la prima vittoria della sinistra radicale è stata “storica per la Grecia e per l’intera Europa”. Cioè a dire che i pilastri della post-verità continuano a reggere le analisi di questo governo. Analisi che nel corso di questi ultimi due anni si sono rivelate completamente errate, o comunque viziate da un ideologismo che non aveva alcuna base di concretezza. I “syrizei” hanno provato a cambiare il lessico della narrazione, ma hanno soltanto creato una maggior disaffezione e aumentato la delusione.

Arriveranno al terzo anniversario di gennaio 2018, o almeno al secondo di settembre 2017? Purtroppo non dipende da Atene, a meno che non si pieghi ai voleri europei e accetti le nuove condizioni poste dopo la riunione dell’Eurogruppo di giovedì. Tutto ormai è nelle mani dei creditori. Facciamo un passo indietro. Secondo i dettami del terzo Memorandum, quello cioè firmato da Tsipras dopo una “dura battaglia”, la seconda valutazione avrebbe dovuto concludersi circa un anno fa. Poi la data si era spostata al 5 dicembre. Data che sarebbe stata rispettata secondo le dichiarazioni del primo ministro ellenico. Ma a impedire un accordo erano due temi piuttosto scottanti: una nuova legge sui rapporti di lavoro e la liberalizzazione del settore energetico. Oltre ovviamente a un ulteriore taglio alle pensioni e una nuova legge fiscale che abbassasse la soglie esentasse.

Da giovedì scorso, la data ultima per un accordo con i creditori si è spostata al 20 febbraio, quando si riunirà nuovamente l’Eurogruppo. E come nei primi sei mesi del 2015 in cui ha ingaggiato una “dura battaglia” (costata 86 miliardi, secondo i dati della Banca Di Grecia), Atene sarà costretta al “prendere o lasciare”. Cioè accettare le nuove condizioni che prevedono misure per 4,1 miliardi da applicare dopo il 2018, un iperbolico e irrealistico 3,5% di tasso di crescita fino al 2023, con addentellati sociali che avranno gravi conseguenze su una struttura sociale già allo stremo. Oppure andare alle elezioni. Bel dilemma per Tsipras: salvare il Paese, o salvare il partito? Dopo due anni non ha ancora risolto il quesito. E per gli europei? Continuare a sostenere Tsipras, il quale ha tanto abbaiato senza mai mordere, oppure puntare sull’astro nascente dell’opposizione, Kyriakos Mitsotakis? Su questa momentanea indecisione europea sembra puntare Tsipras usando la solita tattica del ricatto: o una soluzione politica all’accordo oppure la creazione di un’instabilità politica proprio nei mesi elettorali di Olanda, Francia e Germania. 

Comunque a rovinare la “festa” è stato l’Eurogruppo di giovedì. I creditori chiedono nuove misure e la partecipazione del Fmi, il quale continua a ribadire che il debito ellenico non è “sostenibile”. Queste nuove misure dovranno essere votate entro il 20 febbraio. In sintesi: la seconda valutazione in cambio di nuova austerità. Eppure Tsipras ha sostenuto che il Parlamento non voterà alcun altro taglio. C’è da crederci? Questo governo ha sorpreso più volte se stesso, la sua maggioranza, i creditori e il “popolo” ellenico. Per il momento, l’esecutivo resta sulle sue posizioni di intransigenza, stando almeno alle dichiarazioni del ministro delle Finanze. Tempo venti giorni e si aprirà la scena di un altro dramma ellenico. Anzi no. La data è il 6 febbraio, quando il Fmi renderà pubblica la sua relazione sul debito ellenico. 

O Tsipras accetta il nuovo diktat, di cui è in parte responsabile, oppure si va a elezioni, sul carroccio dello scontro con l’Europa. “O con me e la società o con i tedeschi”, uno slogan preso a prestito dal quotidiano di partito “Avghì”. Si va a votare e vince Nea Democratia. Cambierà qualcosa? Agli europei conviene una sua vittoria, se come promesso dal suo presidente, il suo nuovo governo rimetterà in discussione la nuova legge fiscale? Si ritornerebbe a discutere in un periodo in cui si vota in Europa. 

Il dossier Grecia per gli europei deve essere evaso in fretta e senza tanti danni, per loro. I greci invece assisteranno a nuovi balletti, a nuovi capitomboli, a nuove giravolte. E dopo sette anni di crisi, in cui le famiglie hanno perso, dal 2010 a oggi, circa 57 miliardi della loro ricchezza, nessun politico ha chiesto un governo di “salvezza nazionale”. 







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