RIFORMA PENSIONI 2015/ Ecco le “trappole” da evitare su flessibilità e pensioni d’oro
Nei ministeri competenti e all’Inps si stanno predisponendo articolati su una nuova riforma delle pensioni da inserire nella prossima Legge di stabilità. Il punto di GIUSEPPE PENNISI
Nei ministeri competenti (e all’Inps) si stanno iniziando a predisporre articolati su una nuova riforma della previdenza da inserire nella prossima Legge di stabilità. Le norme consisterebbero essenzialmente in: a) nuovi contributi di solidarietà per quelle che vengono chiamate le “pensioni d’oro”; b) flessibilità in uscita per coloro che desiderano andare in quiescenza prima dell’età ora prevista da quella che viene chiamata “legge Fornero”.
Prima che i lavori preparatori vadano troppo avanti, potrebbe essere utile fare alcune considerazioni. In primo luogo, non soltanto i teorici della neoeconomia ma studi Ocse, Fmi e Banca mondiale e numerose analisi di centri di ricerca internazionale documentano che nessun Paese reagisce bene a riforme della previdenza che si succedono anno dopo anno; esse generano ansietà e incertezza e riducono la credibilità della politica. Ciò influisce negativamente sulla produttività. Quindi, meglio esaminare a fondo, e con la pazienza e il tempo che ci vogliono, le alternative e approvare, una volta per tutte, un sistema che resti solido per diversi anni.
Per quanto attiene ai “contributi di solidarietà” in vigore, la sezione giurisdizionale del Veneto e del Lazio hanno già sollevato la questione di costituzionalità, rispettivamente il 16 gennaio e il 20 febbraio. Ora la materia è all’esame della Consulta. In passato già due volte la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali contributi del genere, poiché sono essenzialmente imposte che gravano su una unica categoria e le pensioni sono un “salario differito” che non può essere cambiato unilateralmente.
A questo aspetto in punta di diritto, occorre aggiungere che, secondo i calcoli de lavoce.info, perché il contributo di solidarietà comporti risparmi tali da potere aumentare, ad esempio, le pensioni più basse (da distinguere gli “assegni di solidarietà” a carico dell’erario e rispetto ai quali l’Inps ha la mera funzione di “ufficiale pagatore”), occorre mettere un “tetto” alle pensioni in essere a circa 2.500-3.000 lordi, innescando una protesta sociale non solo dai pochi “pensionati d’oro”, ma dai numerosi fruitori di pensioni medio-basse.
In materia di “flessibilità in uscita”, a ragione dell’invecchiamento della popolazione e della prospettiva di restare in pensione tra i 22 e i 25 anni con trattamenti il cui potere d’acquisto diminuisce anno dopo anno, saranno pochi coloro che chiederanno un pensionamento anticipato tale comunque da comportare una riduzione delle spettanze e delle prestazioni. Quindi, sono davvero di lana caprina i commenti dei tecnici della Commissione europea secondo cui la misura, se attuata, aggraverà la spesa pubblica almeno nel breve periodo (ma la ridurrebbe nel medio e lungo) facendo addirittura “saltare” i conti dell’Italia.
Secondo le mie stime, si tratterebbe al più di 1-2 miliardi l’anno nei primi anni, che verrebbero ampiamente recuperati nel medio termine poiché se e quando i lavoratori otterranno la “busta arancione” (più volte promessa dall’Inps) con i dettagli delle loro spettanze, ritarderanno il più possibile (se non sono autonomamente benestanti) il momento di andare in pensione.
È utile ricordare che l’eventuale flessibilità riguarderebbe la previdenza “pubblica” o “statale” perché gran parte della previdenza privata (i fondi pensione) ha già forti elementi di “flessibilità” in entrata. I fondi pensione di nuova generazione sono collegati, in larga misura, alla previdenza pubblica in uscita; quindi, sotto questo profilo, il futuro dei beneficiari, in termini di “età di uscita”, è legato a quello delle pensioni Inps.
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