ROD STEWART/ “Rarities”: ecco come nasce una stella

- David Nieri

Un doppio cd raccoglie rarità, inediti, cover e b-side del periodo migliore del cantante scozzese, i primi anni settanta, quando nacque la sua stealla. La recensione di DAVID NIERI

rod_stewart_R439 Rod Stewart

Tutto accadeva prima che il biondo scapestrato di origini scozzesi attraversasse l’Atlantico tornando con un carico di lustrini e modelle che inevitabilmente cominciarono ad attirare l’attenzione delle riviste di moda, lasciando un po’ smarriti i giornalisti musicali che in qualche modo avevano contribuito a sancirne la consacrazione. Poco male, al tempo le riviste si vendevano e lui, in compenso, ci guadagnò in popolarità. 

Da quel momento, eccessi di ogni tipo e successi commerciali hanno costellato il suo percorso umano e artistico fino ad arrivare ai nostri giorni, con quell’intermezzo di svolta pop che comunque rimane all’altezza dei suoi dischi migliori: il passaggio alla Warner regalò, a metà anni settanta, due gioiellini come Atlantic Crossing e A Night on the Town, che fecero però storcere la bocca a chi fino ad allora lo aveva considerato un purista del rock con inflessioni soul, r&b e folk. In effetti, quei cinque anni compresi tra il 1969 e il 1974 – periodo d’oro per la musica, seppur dopo l’esplosione sessantesca – videro nascere la stella Rod Stewart con una manciata di capolavori assoluti incisi per la Mercury e mai più ripetuti: cinque album pubblicati in contemporanea rispetto alla sua permanenza nei Faces e dopo gli esordi nel Jeff Beck Group (in entrambe le esperienze accanto alla futura pietra Ron Wood). The Rod Stewart Album (1969), Gasoline Alley (1970), Every Picture Tells a Story (1971), Never a Dull Moment (1972) e Smiler (1974) spianarono la strada a una giovane promessa capace di cantare come pochi le sue canzoni e interpretare quelle di altri con il piglio del fuoriclasse assoluto. La storia del rock passa (anche) attraverso il ciuffo ribelle di Rod Stewart senza indugio alcuno, e quei dischi sono (ancora) lì a dimostrarlo.

Questa doppia raccolta – Rarities, ventiquattro canzoni – attinge proprio al periodo Mercury e ci regala alcune outtake, versioni alternative e cover di grande spessore, anche se, a parte due brani incisi per la BBC Radio insieme ai Faces, già apparse in alcune antologie già pubblicate, oppure come singoli e b-side. Si tratta tuttavia di incisioni di ottima qualità che ci mostrano un artista nel pieno della sua freschezza compositiva e interpretativa, al massimo del suo splendore. Sconsiglio l’acquisto all’ascoltatore che conosce Rod grazie al radiofonico (e simpatico, perché no) ritmo di Da Ya Think I’m Sexy?, sono canzoni che non fanno per lui e il motivo è molto semplice: ascoltare solo una volta la cover della dylaniana Girl From the North Country mette in pace con il mondo intero e fa spegnere immediatamente la radio, che di buona musica – oggigiorno, poi – ne passa veramente poca. 

Una raccolta, dunque, per i fan più accaniti? Fondamentalmente sì, ma anche i curiosi potrebbero trovare notevoli spunti per seguire, in tutti i sensi, un percorso parallelo: chi mai può stancarsi di ascoltare gli esperimenti di gestazione di Maggie MayYou Wear It WellSo TiredI’d Rather Go Blind o una tiratissima It’s All Over Now, ancora più vibrante (e più vicina all’originale di Bobby Womack) rispetto alla rilettura degli Stones? Inevitabile non ripensare a quanto fosse potente il verbo del rock in quegli anni di straordinaria ispirazione e grandi artisti, un’epoca irripetibile e densa di speranze in divenire. Lo dimostrano anche i brani presi in prestito, che oltre alla magia di Bob lo vedono confrontarsi con la coppia Gerry Goffin/Carole King (Oh! No Not My Baby e (You Make Me Feel Like) a Natural Man), Cole Porter (Every Time We Say Goodbye), Jimi Hendrix (Angel) e soprattutto con la premiata ditta Elton John/Bernie Taupin in una resa da brividi di Country Comfort eseguita alla BBC Radio One, uno dei due inediti veri e propri della raccolta (l’altro è Maggie May, sempre insieme ai Faces e sempre alla BBC, elettricità e sudore in un condensato di energia e vigore). Un Rod così, in effetti, non si è più sentito, salvo in rare e sporadiche occasioni. Per la cronaca, quest’anno è uscito un nuovo album di inediti dopo un periodo abbastanza lungo che lo ha visto cimentarsi come classico crooner (affascinante, ma alla fine anche un po’ soporifero): Rod sta attraversando un periodo felice della sua vita con la nuova moglie, è innamorato e tutto ciò si riflette nelle canzoni di Time – questo il titolo –, un album di pop song decisamente piacevole e con qualche incursione nel periodo che conta –quello di cui abbiamo appena parlato –, senz’altro superiore rispetto a un passato neanche tanto recente. In Italia nessuno se n’è accorto, ma in Inghilterra è tornato addirittura a occupare il primo posto delle charts dopo ben 34 anni di assenza (l’ultimo album a conquistare il gradino più alto era stato il Greatest Hits Vol. 1 nel 1979), stabilendo un vero e proprio record. Nostalgia? Probabilmente sì, perché è vero, ascoltare la voce dei maestri, anche se invecchiata, contribuisce a illuderci di essere ancora giovani.





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