CAROLYNE MAS/ “Across the River”: quella serenata infinita a New York City

- Paolo Vites

Assente dalle scene da lunghi anni, torna una degli artisti più esaltanti della New York di fine anni settanta, Carolyne Mas. La recensione del suo nuovo disco di PAOLO VITES

carolyn-mas_R439 Carolyne Mas

A volte ritornano. Dal buio, da notti insonni, dalle notti della nostra e della loro giovinezza, così ardenti, così piene di promesse e di speranze. Carolyne Mas è tornata. Talentuosa cantautrice a metà strada tra folk e rock (la chiamavano “il Bruce Springsteen in gonnella”) della fine anni 70, insieme a un manipolo di altri coraggiosi guidò quella renaissance, quella rinascita della Grande Mela verso la grande canzone d’autore che l’aveva resa la capitale del songwriting negli anni 60. 

Lei, Willie Nile e Steve Forbert, per dirne due, ma anche tanti altri. Ma con una sorta di maledizione sulle spalle che non permise mai loro di sbancare il casinò dei sogni e vincere alla roulette della fama imperitura. Nuovi Dylan, nuovi Springsteen: etichette fatte per tagliare le gambe e così fu. Si dispersero “across the river”, ma ogni tanto tornano. “Across the River”, il primo disco di Carolyne Mas dopo anni e anni, è prodotto da una etichetta italiana e suonato con musicisti italiani. Se è per quello è registrato anche in Italia, a Roma, dove vive l’uomo che ha fortemente voluto questo progetto, Ermanno Labianca, titolare della ormai miglior etichetta indipendente italiana, la Route 61 che annovera già un sostanzioso catalogo di dischi splendidi.

Ermanno è una sorta di Rick Rubin italiano: sa scovare antichi eroi ormai fuori dalle scene e riportarli in studio con grazia e consentire loro di tirare fuori il meglio. I cd che pubblica poi, sono autentici gioielli non solo musicali: confezioni pregiate, di lusso, eleganti e dettagliate, proprio come i vecchi vinili con cui siamo cresciuti.

“Across the River” è un lavoro di grande fascino. Voce e pianoforte e pochi discreti accompagnatori creano l’atmosfera di una struggente notte in uno di quei locali del Greenwich Village ma può anche essere Trastevere, tanta sono la forza poetica e la poesia qui contenute.

Carolyn canta benissimo anche meglio che da giovane: orami è una consumata jazz singer, una blues mama, ma sempre con il sano spirito rock dentro. Sceglie alcuni brani dei suoi vecchi amici, quello che dà il titolo al disco è di Willie Nile, e poi Witch Blues di Steve Forbert, ma soprattutto una New York City Serenade di Bruce Springsteen di una bellezza impossibile: dieci minuti e oltre di dichiarazione di amore alla città che non dorme mai, vocalizzi di intensità stellare, accordi di pianoforte che fanno tornare alla vita tutti i dispersi delle Torri Gemelle. 

Poesia urbana, poesia della vita e della morte, bellezza sonica per amanti dal cuore infranto. Consolazione per le pene di tutto questo vecchio mondo che inconsciamente e insistentemente continua a girare.

C’è poi anche un salto negli anni 60 con la cover di Under the Boardwalk, un classico newyorchese, e poi alcune sue composizioni, dallo swing di That Sweet Thing al calore e alla passione di Mexican Love Song. Ci sono momenti di sferragliante blues, ben coadiuvato dall’ottima band del cantautore italiano Daniele Tenca lui compreso, che rendono il ponte di Brooklyn lungo fino all’Italia.

Ancora dubbi? Se rock’n’roll per voi non è una questione di X Factor ma di cuore, questo cd potrebbe essere tra i dischi dell’anno.





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