JEFF TWEEDY/ L’intervista: le banane salveranno il mondo della musica

- Paolo Vites

Jeff Tweedy, ex Uncle Tupelo e leader dei Wilco, ha da poco pubblicato il suo primo disco solista registrato insieme al figlio Spencer. E noi abbiamo parlato con lui. di PAOLO VITES

jeff-and-son-spencer-tweedy_R439 Jeff Tweedy con il figlio Spencer

C’è un signore paffuto vestito in modo improbabile che se ne va in giro di porta in porta a cercare di vendere il disco che ha appena fatto con il figlio. Inevitabilmente, come nella miglior tradizione dei commessi viaggiatori di una volta, tutti gli sbattono la porta in faccia. Lui non si perde mai d’animo, anzi non lascia trapelare alcunché dalla sua espressione impassibile, fino a quando non trova qualcuno che gli paga il disco in banane. Il finale del divertentissimo (e amaro) video del brano Low Key lo lasciamo in sospeso per chi ancora non lo avesse visto. Vale la pena vederlo però: come ci ha detto Jeff Tweedy in questa intervista, “questo è il punto in cui ci troviamo oggi, stufi e stanchi del music business”.

Il Jeff Tweedy che insieme al figlio Spencer ha dato vita a “Sukierae”, suo primo disco fuori dei Wilco, non è invece uno che è stanco di fare musica e scrivere canzoni. Qualcuno si è anche lamentato perché nel disco ce ne sarebbero troppe, ben venti (“Chi si lamenta di questo ha ben poco a cui pensare” dice). Non è neanche stanco dei Wilco, con cui ha già ripreso a fare concerti e soprattutto non è stanco del suo vecchio motto (“La musica è stata il mio salvatore. Ho avuto il mio nome dal rock’n’roll”):  “Il rock’n’roll non è semplicemente uno stile di vita o un tipo di musica per me” ci ha detto. “Il rock’n’roll per me significa libertà personale e libertà di espressione, è credere in quello che si è senza vergognarsi di quello che si è”. Jeff Tweedy, commesso viaggiatore del rock’n’roll, è ancora la voce più lucida della musica americana.

Un disco in coppia con il proprio figlio come lo vogliamo definire? E’ quello che di solito si chiama “family album”, un disco di famiglia?

Dire di sì, per me è davvero un disco di famiglia. Anche gli altri due membri della famiglia Tweedy (la moglie e il secondo figlio, ndr) sono stati in qualche modo coinvolti nella realizzazione. E’ un disco che d’altro canto è nato quando mia moglie si è malata di tumore, ed è per quello che è intitolato con il suo soprannome.

Come sta adesso?

Sta meglio, grazie per aver chiesto di lei, sta decisamente meglio.

C’è qualcuno, come si è letto in qualche recensione, che ha detto che venti canzoni in un solo disco sono troppe…

Penso che persone che si lamentano del fatto che abbia messo troppe canzono in un disco, siano persone davvero fortunate ad avere questo tipo di problemi. Non so, onestamente: invece di essere un cd doppio come poi è stato, dovevano essere due dischi separati. Ogni disco con la propria personalità che riflettesse comunque quella dell’altro. Come una fotografia più grande di quello che sono in realtà. In ogni caso non credo davvero che uno debba ascoltarselo dall’inizio alla fine….

Come è stato per tuo figlio Spencer registrare con te? Immagino che in famiglia vi sia capitato speso di suonare insieme, ma certo fare un disco è più complicato.

Io e Spencer avevamo registrato delle cose in passato e ci eravamo trovati così bene a suonare insieme che è da lì che siamo partiti per questo disco. E’ un ottimo musicista e il fatto che sia mio figlio non ha influito in alcun modo. 

 

Cosa farà in futuro? Pensi che si dedicherà ancora alla musica, magari con un suo progetto personale?

 

Credo che abbia un forte desiderio di fare qualcosa di suo, di personale. Però fra poco comincerà anche l’università, è una cosa a cui tiene molto. Non credo che voglia fare della musica la sua vita e di mettersi in mostra. Ma comunque spetterà a lui decidere.

 

In questo disco ci sono un sacco di approcci musicali diversi: pop, folk, rock, garage, psichedelica… E’ una specie di “freewheelin’ Jeff Tweedy”, che ne dici?

 

Non credo, anche i dischi dei Wilco sono sempre stati caratterizzati da tanti approcci musicali diversi. Personalmente non penso in quel modo, dando delle etichette ai tipi di musica che affronto. Ogni canzone è come una parte dello stesso puzzle. Direi che i vari stili musicali sono rappresentativi di un momento, di un modo di essere, di un sentimento e non sono il tipo che decide in che stato d’animo deve sentirsi. Tutto viene in modo spontaneo e assume un suo significato nel momento in cui qualcuno là fuori, l’ascoltatore, vivrà il proprio stato d’animo rispetto alle canzoni.

 

Sono canzoni scritte di recente o ne hai recuperata magari qualcuna che era là, nel cassetto, da anni?

 

La maggior parte sono state scritte nel corso degli ultimi anni. Ma ce ne sono anche alcune che risalgono a parecchio tempo fa. E’ un po’ come la mia vita, le canzoni che canto nascono qua e là, a volte ho dei vecchi demo, a volte delle idee musicali che mi girano in testa a lungo e poi finalmente trovano un posto dove concretizzarsi.

 

Nobody Dies Anymore è una delle mie preferite: come è nata questa canzone?

 

Questa è una delle più recenti. Volevo esprimere la sensazione di uno studioso, uno scienziato, che si trova in pericolo per qualche motivo, in pericolo di vita. Volevo riflettere su quello che vedo oggi, il tentativo di molti di dare un significato all’immortalità, al dolore, la paura di morire. Poi la malattia ti costringe a cambiare punto di vista e i tuoi amici e i tuoi familiari se ne accorgono, capiscono che qualcosa dentro di te è cambiato. C’è sempre qualcosa che ti cambia, basta ammetterlo.

 

Cambiamo totalmente argomento: le banane salveranno l’industria discografica?

 

(Ride, ndr). E’ stato molto divertente fare il video di Low Key, l’idea alla base  voleva esprimere il fastidio e la stanchezza che si prova oggi verso il mondo dell’industria discografica, anche se non penso che sia un mondo defunto come dicono molti, anzi. Certo è che le banane sono un bel pericolo (ride di nuovo; il video finisce con il capo della casa discografica a colloquio con uno scimpanzé che lo minaccia e non porterà sempre più banane, ndr).

 

A proposito di industria discografica, hai seguito il caso Apple e U2? Che idea te ne sei fatto?


La prima idea che mi ero fatto vedendo quel tipo di operazione è che loro, gli U2, fossero molto insicuri del disco che avevano fatto, che avessero paura che nessuno lo ascoltasse al punto da darlo via gratuitamente, ma in realtà non è stato dato via gratis visto che loro hanno preso un sacco di soldi. Poi però ho sentito le scuse che Bono ha fatto e ho trovato molto bello da parte sua arrivare a chiedere scusa. Quello che hanno fatto in sostanza è stato piuttosto anti estetico, pensando a quante persone pensano che l’arte sia qualcosa di importante, che non vada svenduta in quel modo. 

 

I Wilco festeggiano venti anni di carriera. Qualche tempo fa ho trovato sulla Rete il video di un vostro concerto dove dalla prima all’ultima canzone avete fatto solo brani altrui, una serata pazza, ma anche straordinaria.

 

Ci siamo divertiti tantissimo, era parte di un festival che organizziamo ogni anno e quella sera decidemmo di cantare quello che la gente ci chiedeva, abbiamo fatto 50 pezzi. Credo che ce la siamo cavata egregiamente.

 

Magari un giorno pubblicherete quelle registrazioni?

 

Chissà, sarebbe bello, ma credo sia complicato per via dei diritti e dei copyright di tutti quegli artisti.

 

In Misunderstood, una delle tue canzoni più belle, che risale a circa vent’anni fa, tu ci chiedevi se amavamo ancora il rock’n’roll. Jeff Tweedy dopo tutti questi anni lo ama ancora? Cosa significa oggi per te amare questa musica?

 

Quando penso al rock’n’roll, non penso solo a uno stile di vita o a un tipo di musica. Rock’n’roll per me significa libertà di essere e libertà di espressione. Libertà per me e per i miei figli. Lo credo ancora dopo tutti questi anni, significa credere in te stesso senza vergognarti di quello che sei. Di non conformarti, di non sentirti forzato a essere parte di qualcosa che invece ti fa sentire a disagio. Quello che invece la gente dice sia il rock’n’roll non è necessariamente importante per me, ma esiste, c’è ancora in questo mondo e ce lo troviamo continuamente davanti. 





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