ENZO JANNACCI/ Un anno dopo, il ricordo di Enzo Limardi: il suo amore per la vita

- int. Enzo Limardi

A un anno dalla scomparsa di Enzo Jannacci, ENZO LIMARDI ricorda la sua amicizia e la sua collaborazione con lui. Ecco cosa ci ha detto in questa intervista

jannacci_canto_maniR439 Immagine di archivio

Come in un film di Totò, come nei sogni più sognati, due ragazzi salgono su un treno partendo dal profondo sud calabrese e sbarcano a Milano. Nel cuore tante speranze, in tasca il trafiletto di un articolo di Repubblica che più o meno dice: si cercano giovani attori per casting. Quello che il trafiletto dice ancora è che a fare questo casting è uno dei più grandi protagonisti della musica e del teatro del dopoguerra, Enzo Jannacci. Roba da far tremare i polsi. Si presentano in seicento, ne verranno scelti solo quattro. Tra questi, Enzo Limardi, oggi volto noto della televisione e del teatro, allora (erano i primi anni novanta) uno sconosciuto, insieme al suo “socio” Andrea Bove con cui costituirà una delle coppie più affiatate del mondo dello spettacolo. Jannacci vede in loro qualcosa e li sceglie: insieme collaboreranno a spettacoli teatrali e altro ancora. A un anno dalla scomparsa di Enzo Jannacci, abbiamo parlato con il suo omonimo Enzo Limardi per ricordare questa splendida avventura. Ecco cosa ci ha detto.

Come nacque la vostra amicizia e la vostra collaborazione professionale?

Nacque da un trafiletto che io e Andrea avevamo letto su Repubblica e che diceva che Jannacci avrebbe aperto un locale a Milano dove avrebbe fatto una scuola di cabaret. Noi che eravamo suoi appassionati ci iscrivemmo all’audizione, e tra seicento persone ne ha scelte quattro tra cui c’eravamo noi.

Quale fu la vostra prima impressione? Jannacci insegnante di cabaret era qualcosa di nuovo anche per lui.

La prima impressione fu quella magia che lui esprimeva. Le audizioni si tenevano in diverse giornate anche in una palestra in cui lui insegnava karate, figurati. Era tutto incredibile. La prima cosa che ci ha detto è stata: io non giudico, non sono qua per dire chi è bravo e chi no, ma per vedere chi può lavorare e può essere in sintonia con me. Non darò alcun giudizio sulle vostre capacità ma solo sulla possibilità di avere una relazione lavorativa con me. 

Cosa pensi abbia colto in voi da scegliervi tra seicento persone?

Non lo so neanche oggi. Andando avanti nel rapporto con lui ho scoperto che c’era grande sintonia, uguali modi di vedere alcune cose. Credo che le persone si prendano e si avvicinano grazie a una sintonia nella sensibilità, nel percepire alcune cose.

Voi calabresi, lui simbolo di Milano: forse fu anche questo nord-sud a mettervi insieme?

Enzo era meridionalista perché i meridionali rappresentavano gli ultimi, così come ogni volta che qualcuno era l’ultimo, lui  era vicino agli ultimi. Si calava nella condizione degli ultimi per tirare fuori la poesia. Nella disperazione si tira fuori il meglio di noi, quando soffrono le persone acuiscono una parte della loro sensibilità comunicando agli altri qualcosa di unico, una passione per la vita dove non c’è quella neutralità che può esserci la dove c’è agiatezza. Nelle difficoltà esce il positivo o il negativo ma comunque qualcosa di forte. Lui coglieva qualunque cosa esprimesse poesia. 

Il suo era un grande amore per l’uomo in quanto tale, sei d’accordo?

Assolutamente. Non è che disprezzasse chi era agiato, anche in quello amava la poesia che poteva esserci in certi modi di vivere. Non era una selezione la sua, era proprio la difficoltà del vivere quotidiano che lo affascinava da qualunque parte venisse.

 

Tra le tante cose fatte insieme a lui, c’è una cosa in particolare a cui sei affezionato di più?

Io e Andrea portiamo sempre in giro le cose fatte insieme a lui, di tutti i nostri spettacoli lui ha fatto la regia. Potrei dire che c’è un pezzo di cuore e del suo lavoro in quello che portiamo ancora in giro. Tutto quello che facevamo lo facevamo esaminare a lui. Ma c’è una cosa a cui io sono molto legato, La storia del mago, anche se adesso non è più in giro. Era una pièce scritta da Jannacci, diretta da lui, con musiche sue. Guarda caso la storia di un provinante e un provinato, il mondo dell’apparire. Lo slogan era: chi non appare non esiste. 

 

Che cosa è un comico, per te? Spesso si ride per dimenticare la realtà. C’è anche una comicità negativa, cinica, che lascia senza speranza.

Credo sia utile ridere per mettere l’accento su alcune cose, senza usare parole grosse come denuncia, far riflettere su alcuni squilibri della società. Credo che la comicità comunque porta a un rapporto con la realtà. Nel momento in cui si ride è la natura che dà il giudizio su cosa fa ridere o no. Nella vita quotidiana vogliamo controllare le nostre emozioni, siamo dominati da sovrastrutture che ci creiamo, nel riso accade invece qualcosa di immediato e di incontrollato. Questo basterebbe a far sì che sia utile a dare speranza. Poi naturalmente c’è tutto il discorso della riduzione che la televisione fa di ogni cosa, anche la comicità, per ragioni di audience e di ritorno economico, ma è un discorso lungo.

 

A un anno dalla scomparsa di Enzo Jannacci, cosa ti porti nel cuore e quale la sua eredità?

Per chi lo ha conosciuto di persona rimane l’innamoramento che non va via mai, un amore profondo e passionale per come ha vissuto, per l’intensità con cui ha vissuto, l’approccio propositivo che aveva quasi fanciullesco e curioso. Per chi non lo conosceva di persona il poter godere ancora di tutto quello che ha fatto nella sua vita. Una cosa che purtroppo non ci sarà più sono i suoi spettacoli dove accadeva qualcosa di unico:  durante la stessa canzone c’era chi piangeva e chi rideva, credo che non succederà mai più con nessuno. Ma tutto quello che lascia è talmente enorme che è difficile dirlo con una frase, forse il suo amore per la vita e l’umanità, ma è così difficile saperlo esprimere. Rimane la poesia ma la poesia non si spiega, rimane dentro e basta.

(Paolo Vites) 





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