MORTO PINO DANIELE/ Il suono di un’altra era presente: addio mascalzone latino

- Walter Muto

Inventò un suono e una musica tutte nuove. WALTER MUTO analizza a fondo l'importante contributo musicale dello scomparso Pino Daniele al di là degli stereotipi facili

pino_daniele_morto_R439 Foto: InfoPhoto

Il titolo dell’articolo è rubato dal disco d’esordio di una delle prime band di confine, gli Oregon, che nel loro repertorio mescolavano jazz, musica orientale, musica classica contemporanea ed improvvisazione collettiva. Music Of Another Present Era. Contaminazione, si sarebbe detto di lì a poco, ma nel 1972 credo non si usasse ancora questo termine. O forse sì. Ma quella degli Oregon non era solo contaminazione – che brutto termine poi, quasi un contagio radioattivo; il titolo, forse un tantino pretenzioso per un album d’esordio, individuava la nascita di un suono nuovo. Qualcosa che non era mai stato sentito prima. Era vero. 

Il riferimento potrà sembrare a molti peregrino o addirittura balengo. Non a coloro che sanno che il chitarrista e band-leader degli Oregon era ed è il chitarrista Ralph Towner, e che il medesimo chitarrista partecipò alle registrazioni dell’album di Pino Daniele Un uomo in blues, che come pezzo di punta conteneva la tanto vituperata ‘O scarrafone. Innanzitutto, quindi, la carriera di Pino Daniele è stata costellata da collaborazioni di altissimo livello, in studio di registrazione o condividendo il palco. Senza dilungarci e solo per citarne alcune, si ricordino il pianista Chick Corea, il sassofonista Wayne Shorter, il vibrafonista Mike Mainieri, tutti alfieri del jazz e della cosiddetta – almeno in quegli anni – fusion. Insomma musicisti stellari, al confronto dei quali Pino non sfigurava affatto. Anzi. 

Si aggiunga a tutto ciò il rapporto di amore/odio con uno dei più grandi batteristi italiani, Tullio De Piscopo, e i musicisti di cui si è attorniato, Agostino Marangolo, Toni Esposito, James Senese, Rino Zurzolo Joe Amoruso, e anche qui l’elenco potrebbe continuare a lungo. 

Ma non è tutto qui. L’amore per il jazz, per il Sudamerica e per la sua terra ha generato – come in rari casi si è verificato nella storia della musica leggera, un suono nuovo. Proprio come per gli Oregon. Dobbiamo scomporre questa novità in alcuni elementi. Innanzitutto quella voce, così poco aggraziata, così acuta ed al tempo stesso così comunicativa. Limitandoci all’Italia, poco tempo prima altre due voci graffianti ed acute si erano affermate, non senza grandi ostilità iniziali, quelle dei due grandi Lucio, Battisti e Dalla. Voci che in un certo senso tradivano la patria del bel canto e il popolo dei melomani legati alla vecchia guardia. Voci che introducevano elementi legati ad una nuova estetica che si stava formando ed affermando. 

Ma insieme alla voce anche l’arrangiamento dei brani – in tutti e tre i casi – generava un suono assolutamente innovativo. E in tutti e tre i casi questa generazione avveniva grazie all’apporto di un gruppo di lavoro costituito da musicisti italiani di grandissimo lignaggio, session men di lusso (Massimo Luca, Ivan Graziani) o intere band che lavoravano con i cantautori (La Formula Tre con Battisti, gli Stadio con Dalla). L’incanto riuscì anche a De André con la PFM e in maniera minore a Guccini con i Nomadi. Un suono nuovo, qualcosa che altri non erano stati in grado di generare, che per Pino Daniele raggiunge la sua sintesi perfetta in Nero a metà, il capolavoro del 1980 che proprio l’anno scorso l’artista decise di riportare in tour.  

Su tutto ciò svetta una tecnica chitarristica eccellente, che si è applicata via via alle chitarre provenienti dalla tradizione, alle classiche, alle elettriche, in ogni caso dominando lo strumento e proponendo sempre fraseggi interessanti e ben strutturati. Si può discutere su molte cose: molti rimarcheranno un grande abbassamento di livello nella sua musica degli ultimi anni (aggiungete voi 10, 20 o addirittura 25…). Molti altri una tendenza a scivolare sempre di più nel pop e nel commerciale, anch’essa cominciata diverso tempo fa. Fatto sta che alcune canzoni restano ancora oggi insuperate, distillazioni pregiate di sentimento e tecnica, malinconia e rimpianto, funk e melodie di lancinante bellezza. È così che lo ricordiamo, con la sua musica migliore, quella (la scelta è arbitraria e personale) di Cammina cammina (“so sulo tre anni 
e ce penso tutte e’ sere, passa ‘o tiempo e nun me pare o vero”…), Quando quando, Nero a metà, Che soddisfazione, Terra mia, Anna verrà. E molte altre che restano per sempre. 







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