PETER BONTA/ Un americano in Toscana: l’intervista

- Paolo Vites

Ha navigato nella miglior musica americana per oltre trent'anni, poi ha deciso di tornare in quella Toscana da dove la sua famiglia era partita per gli States. Parla PETER BONTA

peter-bonta Peter Bonta, foto di Andrea Furlan

C’è una piccola realtà musicale in Toscana, piccola perché non riempie gli stadi, non certo per qualità artistica. E’ la band dei Compañeros del cantautore Luca Rovini, autore di alcuni dei migliori dischi di songwriting italiano degli ultimi anni e che nell’ultimo periodo ha fatto un notevole salto di qualità per quanto riguarda i concerti. Oltre alla valida sezione ritmica composta da Andrea Pavani e Stefano Costagli alla batteria, nel gruppo da qualche tempo infatti è entrato alla chitarra elettrica solista Peter Bonta. Come si capisce dal cognome, un italo americano che dopo aver scorrazzato in lungo e in largo la scena musicale degli States, si è concesso “un buen ritiro” nella Toscana da cui la sua famiglia partì alla volta dell’America. Ma la voglia di far musica, si sa, non va mai in pensione. Come diceva una antica canzone, I don’t want to hang up my rock and roll shoes. Con lui, i Compañeros sono diventati una delle migliori realtà della musica live italiana e si spera presto di ascoltarli così anche su disco. 

Peter Bonta è un polistrumentista americano, originario di Alexandria (Virginia) ha vissuto per lungo tempo a Washington DC, facendo il musicista e produttore. Membro dei Rosslyn Mountain Boys coi quali ha inciso dischi e aperto concerti a gente del calibro di Jerry Lee Lewis, Emmylou Harris, Conway Twitty e Buck Owens. Nella sua carriera ha suonato, fra gli altri, con gli Artful Dodgers, ha fatto un tour mondiale con Mary Chapin Carpenter e nel suo ex studio di registrazione ha prodotto dischi di Bill Kirchen, Tom Principato e Bob Margolin per dirne alcuni.

Il suo ultimo disco si intitola Mystic Titans of Ju Ju: Brand New Party  ed è registrato assieme a Evan Johns e Bubba Coon. Recentemente si è trasferito a Pistoia (la madre era di origini fiorentine). Lo abbiamo intervistato.

Suoni tanti strumenti, chitarra, tastiere, mandolino, fisarmonica. Qual è lo strumento che senti più tuo e quale il primo che hai iniziato a suonare?

Ho iniziato a suonare il pianoforte a nove anni. La chitarra un po’ più tardi a 16 anni. Amo suonare il piano per la musica country ma adoro anche la chitarra elettrica. La mia filosofia musicale è “qualsiasi cosa tu suoni o produca: al servizio della canzone”.

Hai vissuto una scena importante della musica, quella di Washington degli anni 70 e 80, cosa puoi dirci di quegli anni, dell’atmosfera che si respirava? Cosa voleva dire fare musica in quegli anni a Washington?

Gli anni ’70 a Washington, DC, erano un periodo magico. Ho iniziato la mia carriera musicale a 19 anni con i Nighthawks nel 1972, vivevamo in due case una accanto all’altra a Bethesda, MD.

Eravamo poveri ma non lo capivamo nemmeno, eravamo troppo impegnati a suonare il blues per rendercene conto. Washington in quei giorni aveva una scena musicale fiorente in fatto di club. Se volevi potevi suonare sette giorni la settimana fra Washington, Maryland e Virginia. La cosa grandiosa di quella scena era che c’era un sacco di musica originale, Country, Roots, Blues e c’era tanta gente che ci supportava e potevamo mantenerci con la musica. Noi musicisti uscivamo dal locale dove suonavamo e andavamo nel locale accanto e ci incontravamo con altri musicisti e se volevi potevi unirti a loro. Joe Triplett e Happy Acosta, che avevano un duo chiamato Rosslyn Mountain Boys, vennero a vedermi suonare coi Nighthawks e mi chiesero se ero interessato ad unirmi a loro per formare una band country elettrica. Joe Triplett era il mio cantante preferito a DC e ho subito preso l’occasione al volo. Questo successe un mese prima che i Nighthawks entrassero in studio a registrare il loro primo album, il classico “Rock’n’Roll”, ma davvero non ho rimpianti in merito.

Ero solito andare a vedere Emmylou Harris and The Angel Band il lunedì per un dollaro di biglietto. Danny Gatton e Roy Buchanan stavano ridefinendo il suono Telecaster. Slikee Boys facevano lo stesso per il Punk, Tex Rubinowitz rivitalizzava il Rockabilly, i Sceldom Scene rivoluzionavano il moderno Bluegrass al Birchemere e al Red Fox Inn. Artisti come Neil Young, Poco,  Ramones, Mose Allison, Muddy Waters, Doug Sahm e molti altri suonavano nei club che ospitavano al massimo 125 persone, ambienti molto intimi. Era assolutamente sbalorditivo fare parte di tutto questo!

Fra gli altri hai conosciuto Danny Gatton, un chitarrista formidabile, cosa puoi dirci di lui?

Era brillante, un virtuoso e nonostante questo era una delle persone più umili che abbia mai conosciuto. Lui e Tex Rubinowitz costruirono dei pickup Charlie Christian per la mia Telecaster, gratuitamente! Poteva parlarti per ore purché si trattasse di pesca o macchine Hot-Rod. Rimasi stordito quando seppi del suo suicidio, ricordo che piangevo in macchina mentre andavo al suo funerale ascoltando Billy Joe Shaver.

Come hai detto sei stato uno dei membri fondatori dei Nighthawks di Mark Wenner e Jimmy Thackery, e poi hai avuto altre band importanti nelle quali hai suonato ed inciso come ad esempio gli Artful Dodger, parlaci un po’ dei tuoi gruppi

Dopo i Nighthawks ho contribuito a formare i Rosslyn Mountain Boys. Registrammo due album, il secondo era prodotto dal grande David Briggs, produttore di Neil Young. Dopo che un contratto discografico non andò a buon fine il gruppo si sciolse e mi chiesero di entrare negli Artful Dodger nel 1979, uno dei progetti più divertenti di cui ho fatto parte.

Ho registrato un album dal vivo con loro al Cleveland Agora ed ho suonato nel loro ultimo LP “Rave On” per Arista/Ariola. Avevamo una larghissima fan base nel Midwest dove le nostre canzoni venivano suonate nelle stazioni radio di classic Rock. Con quella band aprimmo tanti concerti importanti, i Kiss per il loro tour di Destroyer, Lynyrd Skynyrd, Heart, REO Speedwagon, Ted Nugent, Kansas, Hall & Oates, Levon Helm and The Cates Bros, Kinks e molti altri.

Nel tuo studio di registrazione a Washington quali sono gli artisti che hai registrato di cui vai più fiero?

Ce ne sono tanti, sono molto fiero dei CD di Bill Kirchen, Tom Principato e Jimmy Thackery. Anche Jimmy Arnold e Big Joe Maher.

C’è un artista o un disco per il quale hai pensato “questo arriverà lontano”?

Sì, Gene Ryder, un cantautore di Spotsylavania, Virginia, un vero genio! Dopo 42 demo abbiamo stipulato un accordo discografico con la Polygram per registrare ai Criteria Studios di Miami con Tom Dowd (il leggendario produttore del Live at Fillmore East della Allman Brothers Band, fra gli altri) come produttore per 9 settimane. La pressione del management era troppo forte e Gene non la sopportava ed è stato in qualche modo abbandonato per qualche mese dopo l’uscita del disco. Il miglior scrittore con cui abbia lavorato.

Tu hai visto dal vivo Jimi Hendrix e i Doors, che esperienza è stata? Com’era un loro concerto?

Sì, ho visto i Doors all’Alexandria Roller Rink nel 1967, avevo 15 anni, e ho visto Jimi al Washington Hilton Ballroom nel 1968. Cosa posso dire? Sono stati eventi che mi hanno cambiato la vita. Dopo quei concerti ho saputo come avrei voluto passare la mia vita.

Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato sulla chitarra e sulle tastiere?

Chitarra – Roy Buchanan, Roy Nichols (chitarrista di Merle Haggard), Clarence White, Chuck Berry, anche un po’ Clapton… Tastiere – Little Richard, Johnny Johnson, Jerry Lee Lewis, Booker T. e Spooner Oldham.

Hai suonato con Bo Diddley, Doug Sahm, Evan Johns e un sacco di altra gente, tantissimi grandi artisti, c’è qualche aneddoto che ci puoi raccontare?

Quando mi hanno chiamato per suonare la chitarra con Bo Diddley ho chiesto al mio amico John Jennings (che poi produsse Mary Chapin Carpenter) di suonare il basso per il weekend. Alla fine della prima serata John mi chiese se poteva suonare la chitarra la sera successiva e io dissi ok. Ci scambiammo gli strumenti la seconda sera e Bo non se n’è nemmeno accorto! Avrei tantissime storie da raccontare ma non vanno bene per essere pubblicate, chiedimele in privato!

Con Mary Chapin Carpenter hai fatto un tour mondiale, com’è stato e quali sono state le cose belle e quelle più dure da affrontare?

Sì, ho suonato il piano, la fisarmonica e la chitarra acustica nei suoi album State of The Heart e Shooting Straight In The Dark (entrambi dischi di Platino) e ho passato qualche anno a girare in tour con lei. Girare con un disco molto importante e famoso può essere mentalmente difficoltoso, ma l’opportunità di suonare per il pubblico di tutto il mondo è assolutamente eccitante. Il mio ultimo anno in tour con lei stavo a casa solo 12 giorni tra l’inizio di Marzo e la fine di Ottobre.

Sei venuto ad abitare in Italia, cosa ti piace di più dell’Italia e cosa non sopporti?

Provo un amore profondo per l’Italia, ci sono venuto molte volte in tutti questi anni. La famiglia di mia madre è originaria di Firenze. La cultura e la storia sono incomparabili, il cibo e il vino sublimi, la gente è molto più intellettualmente curiosa e ben informata rispetto alla loro controparte Americana. Tuttavia i guidatori italiani e il loro rispetto delle regole di guida sono assolutamente terribili! 

L’America ha eletto Trump presidente, cosa ne pensi?

Che Dio aiuti l’America. Spero di svegliarci presto da questo incubo. L’idiozia ne è responsabile.

C’era un periodo in cui la poesia, le canzoni, i libri avevano un grande potere. John Trudell disse “il Rock’n’Roll è una rivoluzione che va ben oltre i 33 giri e 1/3”, intere generazioni hanno sognato, lottato e vinto anche. Oggi il mondo sembra sempre più in mano ad una follia generalizzata. Negli anni 60 e 70 ci furono molti movimenti musicali che contribuirono a cambiare tante cose. Credi che anche oggi la musica possa servire a cambiare qualcosa?

Da vecchio hippie certamente spero che la musica possa contribuire a cambiare il mondo anche oggi. La maggior differenza oggi credo sia che la musica è il risultato di MTV e dei suoi imitatori, non ha la magia che aveva una volta. Ricordo che l’uscita di un nuovo disco di un artista creava grande aspettativa. Oggi la musica è ovunque, una musica di “sottofondo” per eventi e non qualcosa da esaminare e con cui relazionarsi. Sembra che quest’era digitale abbia rubato l’attenzione necessaria, per tutto, non solo per la musica.

In Italia è molto difficile trovare date per concerti, com’è oggi in America per un ragazzo che vuole suonare in giro?

 Difficilissimo, come in Italia.

Dov’è la testa di un chitarrista quando suona?

Ho letto un articolo recentemente che diceva che quando suona un musicista non può pensare, si suona d’istinto, specialmente l’improvvisazione.

Hai sicuramente fatto tantissimi chilometri, cosa vuol dire stare sulla strada e suonare in città diverse?

Non e’ un modo di vita per tutti, ma io l’adoro! La vita e’ un viaggio, meglio accompagnarla con la musica!

Che scena musicale hai trovato in Italia, quali sono le differenze di approccio alla musica fra l’Italia e l’America?

Avete una scena di Blues molto forte qui in Toscana. Non ho approfondito molti altri generi musicali qui, a parte quello che fa Luca Rovini, che secondo me è valido e grande come ogni altro cantautore con cui ho lavorato negli States. Per quello che ho potuto vedere è molto difficoltoso portare gente nei club a supportare la musica qui in Italia. Gli Americani supportano maggiormente la loro scena locale.

Un mio amico mi disse che il sogno americano lo aveva visto a San Francisco ed era steso sui marciapiedi, esiste ancora il sogno americano?

Purtroppo, mentre Trump è alla Casa Bianca, il sogno americano e’ un incubo… forse, fra qualche anno sarà di nuovo un sogno.

È risaputo che le città multirazziali hanno sempre dato il massimo in campo musicale, penso a New Orleans, a New York ad esempio, credi che sia giusto mischiare varie culture musicali o preferisci più chi resta legato alle sue origini?

Certamente la musica è più interessante se influenzata da vari stili. Non avremmo avuto il Rock’n’Roll, il Jazz o il Country senza le varie influenze e i mix di vari stili. Nessuno stile resta puro per sempre.

 C’è un musicista che ricordi sempre con affetto che ti manca in modo particolare e con il quale vorresti suonare nuovamente?

Si, Doug Sahm… RIP

Qual è la migliore lezione che hai imparato in tutti questi anni di musica che ti senti di girare ai giovani che cominciano?

 Resta fedele ai tuoi sogni.







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