TECNOLOGIA/ Innovare in tempi di crisi si può

- Dario Morandotti

Crisi e innovazione: un rapporto che, spiega DARIO MORANDOTTI, ha rivelato per molte imprese italiane conseguenze e opportunità inattese

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È questo un momento storico interessante per l’innovazione nelle imprese. Se da un lato le situazioni di crisi riducono le capacità di investimento dall’altro, proprio perché toccano le prospettive future delle imprese, costituiscono una delle principali motivazioni per uscire da sentieri conosciuti e mettersi in discussione. In altre parole per innovare. Questo è il tema dell’indagine svolta sotto il coordinamento del Dipartimento di Discipline Economiche e Giudiriche dell’Università di Perugia (prof. Enrico Scaroni e prof. Massimo Paoli) nel periodo febbraio-maggio 2010 su un campione di circa 100 medie e grandi imprese italiane, industriali e di servizi.

Dato il limitato numero di aziende intervistate, l’indagine – per sua stessa ammissione – non è rappresentativa dell’universo delle imprese italiane, neanche di quelle medie e grandi, e trascura del tutto i casi delle piccole imprese, che sono la stragrande maggioranza in Italia. Tuttavia offre alcuni elementi utili a comprendere quali impatti abbia provocato la crisi economica sulle strategie di innovazione delle imprese e quali siano le tendenze di medio-lungo periodo. Sono stati esaminati sei diversi aspetti: l’impatto della crisi, le dinamiche settoriali e competitive, il ruolo dell’innovazione, le politiche di innovazione, l’innovazione collaborativa e cosa significa fare innovazione oggi.

Impatto della crisi. Il biennio 2008-2009 ha colpito duro ma il 45% delle imprese dichiara di essere cresciuta grazie agli sforzi di innovazione intrapresi. In generale solo il 25% delle imprese intervistate hanno ridotto gli investimenti in innovazione, il 43% li ha mantenuti stabili ed il 32% li ha incrementati. Il 53% ha aumentato il numero di progetti sia di nuove generazioni di prodotti sia investendo in nuove aree di business. È aumentato anche il numero di progetti sviluppati in collaborazione (48%). Forme diverse dall’autofinanziamento, anche se ancora limitate, sono aumentate dal 1% del 2001 al 7.3% attuale.

Dinamiche settoriali e competitive. La competizione si è intensificata. Per il 67% degli intervistati alla competizione tradizionale si aggiungerà la concorrenza da settori limitrofi in evoluzione e da paesi emergenti. Anche la domanda dei consumatori cambia e si diversifica. Aumenta la varietà rispetto al passato (88% degli intervistati) e aumenterà ancora in futuro (secondo il 92%). Cambiano le tecnologie rispetto al passato e anche le competenze necessarie per affrontare il futuro (per il 77%).

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Quale ruolo per l’innovazione? È già percepita oggi come come leva strategica chiave dal 57% degli intervistati e sale al 70% per quanto riguarda il futuro. Emergono tre direzioni fondamentali, tutte e tre con consensi tra il 35% ed 40%: focalizzazione delle attività di innovazione (processi, metodi e sistemi), sviluppo di nuovi prodotti/servizi a maggior valore aggiunto, sviluppo di nuovi business.

Le politiche di innovazione. Questo è uno degli aspetti piu’ interessanti dell’indagine anche se controverso. L’innovazione è un concetto molto ampio ed è in continua discussione sia in ambito accademico-scientifico sia nelle imprese. L’indagine, essendo rivolta alle imprese, ha utilizzato una definizione dell’innovazione come diffusa nel mondo manageriale, indagando l’innovazione secondo due dimensioni: l’oggetto dell’innovazione (prodotto, servizio, processo, business) e natura dell’innovazione perseguita (incrementale – per piccole modifiche addizionali, o radicale – con cambiamento di paradigmi).

 

Ne emerge che cambia il profilo dell’innovazione necessaria. Meno innovazione incrementale e più innovazione radicale. L’indicazione da parte degli intervistati della ripartizione delle risorse destinate all’innovazione tra cinque anni è una suddivisione del 21% in innovazione incrementale di processo, 35% incrementale di prodotto, 21% radicale di processo/business e ben 22% radicale di prodotto. I cicli di vita dei prodotti si riducono e il peso dei nuovi prodotti nella composizione globale del portfolio sarà sempre più rilevante. Il 75% degli intervistati dichiara che nelle loro imprese impegni e risorse in innovazione saranno incrementati nei prossimi cinque anni. Dati interessanti che lasciano aperte considerazioni sulla competenze necessarie, sulla formazione e sul ruolo del capitale umano.

Innovazione collaborativa. Cresce la propensione generale e rispetto al passato cambiano gli obiettivi, le forme e la natura della collaborazione. Oltre il 39% ha avviato in modo sistematico forme di collaborazione con partner dello stesso settore (51%) o settori continui/correlati (49%). Si collabora per integrare o rafforzare la propria offerta (citato dal 52%) o per suddividere i costi di investimento (citato dal 39%) o per accelerare i tempi di sviluppo dei nuovi prodotti (citato del 36%). C’è una maggiore propensione a pre-definire un chiaro e formale quadro di accordi (e questa è una buona notizie per le collaborazione tra imprese e Università, anche se l’indagine non esplora specificamente questo aspetto).

 

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Fare innovazione oggi. Quali sono gli elementi pricipali dei processi, delle pratiche e degli strumenti di innovazione oggi? E che trend futuri? Qui si nota uno minore convergenza delle risposte, dovuta sia all’eterogeneità del campione sia al numero limitato di interviste. Ne emerge una fotografia a varie tinte. Interessante la diversificazione riscontrata tra fonti di idee innovative anche se la predominanza (60%) rimane tra direzione, ricerca e sviluppo e marketing.

 

La funzione “Innovazione” comincia a essere citata e qualche azienda riconosce il nascente ruolo di ”Innovation Manager” come integratore. Ma tuttora solo circa un progetto di innovazione su quattro ha realmente successo; le principali cause sono scarsa conoscenza dei mercati (citato nel 45% dei casi), disallineamento rispetto alle strategie (40%), tempi di sviluppo troppo lunghi (30%). Le maggori difficoltà si hanno nelle fasi di ingegnerizzazione ed industrializzazione. La durata media dei progetti di innovazione è inferiore ad un anno (38%) e tra l’anno ed i tre anni (56%).

I progetti sono più onerosi, più rischiosi e richiedono sempre più competenze multidisciplinari, capacità di integrazione e di governo. Gli strumenti e le metodologie avanzate, come sistemi di knowledge management, piattaforme di collaborazione e virtual prototyping, sono ancora sotto utilizzati (non superano il 30% delle citazioni). Unica eccezione per i sistemi di project management (60%). Ancora poco noti strumenti / metodi di generazione e correlazione di idee (12%).

 

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L’indagine è certamente piuttosto vasta e per alcuni aspetti parziale. Insieme a molte conferme offre alcuni spunti di riflessione:

 

Innovare si può e conviene e molte imprese continuano a farlo, ma cambiano approcci e modalità e sta cambiando la cultura stessa dell’innovazione;

 

Se nel passato l’innovazione era quasi un sinonimo di ricerca e sviluppo incrementale di prodotto, ora cresce la rilevanza dell’innovazione radicale di prodotto/business compiuta mediante collaborazioni diversificate;

 

Più idee, più progetti, più complessità, più rischi richiedono maggiore capacità di selezione e governo;

 

A fronte di buoni propositi senza un salto di qualità nell’efficacia/efficienza dei processi e degli strumenti di innovazione si incontrano delusioni.

 

In conclusione sempre più l’innovazione si presenta come una sfida che coinvolge capacità specifiche tecniche ed economiche e di creatività ma anche capacità trasversali di integrazione e di relazione.

 





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