NO OGM?/ Come ti smonto il pregiudizio antiscientifico che ci lascia solo rischi

- Fabio Veronesi

In oltre 15 anni di coltivazione delle colture transgeniche non sono stati prodotti riscontri scientifici sull’effettiva pericolosità per l’uomo. Lo spiega FABIO VERONESI

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Recentemente sembra tornare di attualità un problema che ciclicamente interessa i politici e la pubblica opinione, ovverosia la validità o meno di coltivare in Italia piante geneticamente ingegnerizzate, organismi meglio noti al grande pubblico come Organismi Geneticamente Modificati o OGM. Una mozione riguardante gli OGM votata all’unanimità dal Senato il 21 maggio 2013 e un comunicato emesso, nella stessa data, dall’Ufficio stampa del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali hanno riacceso la discussione e da più parti si torna a chiedere l’applicazione, da parte italiana, di una clausola di salvaguardia atta a vietare la coltivazione di queste piante sul territorio nazionale.Non intendo addentrarmi sugli aspetti relativi alla liceità giuridica dell’applicazione di tale clausola di salvaguardia ma desidero invece puntualizzare gli aspetti tecnico-scientifici del problema poiché spesso si afferma che il ricorso alla clausola di salvaguardia sarebbe legato anche a supposte evidenze scientifiche circa i pericoli per la salute e per l’agrobiodiversità connessi all’uso di OGM.
E’ innanzi tutto necessario ricordare che, come recentemente indicato da una presa di posizione della Federazione Italiana di Scienze della Vita (FISV) che  riunisce circa 12.000 ricercatori delle principali società scientifiche italiane attive nel settore della biologia di base e applicata, in oltre 15 anni di coltivazione delle colture transgeniche e di consumo dei relativi prodotti non è riportato nella letteratura scientifica mondiale un solo caso accertato di danni per l’uomo. E’ anche opportuno tener presente che non coltivare OGM non significa non utilizzarli dal momento che, essendo l’Italia fortemente deficitaria di mais e soia per alimentazione animale e dovendo importarne ingentissime quantità da Paesi quali l’Argentina e il Brasile in cui ormai varietà OGM di queste due specie sono la norma, noi non coltiviamo ma utilizziamo ampiamente prodotti GM per l’alimentazione degli animali in produzione zootecnica.
Ciò premesso, continuando a seguire quanto indicato dalla FISV, per quanto attiene nello specifico al mais, specie alla quale appartiene la sola varietà contenente un evento di trasformazione (MON810) che al momento potrebbe essere coltivata in Italia, viene esposto quanto segue: 
– per questa pianta non esistono nel nostro Paese specie spontanee sessualmente compatibili, pertanto un suo sia pur minimo impatto sulla flora italiana attraverso il flusso genico verticale (da pianta a pianta) è da escludersi; quanto al flusso genico orizzontale (da pianta a microrganismi del terreno), esso è un fenomeno assolutamente naturale i cui ipotetici rischi non sono connessi nello specifico al trasferimento di transgeni ma al trasferimento di qualunque gene presente in una pianta che entra in contatto con microrganismi del terreno, anche se appartenente a una varietà costituita con metodi di miglioramento classici o a una varietà tradizionale;

Varietà commerciali (ibridi) possono già incrociarsi con varietà tradizionali, vale a dire con varietà locali conservate dagli agricoltori che, come tali, rappresentano una componente cruciale delle risorse genetiche agrarie per il mais. E’ pertanto opportuno studiare sistemi utili alla coesistenza tra agricoltura tradizionale, biologica e biotecnologica, come ad esempio quelli da tempo attuati con successo in Spagna;
– dovrebbe essere chiaro a tutti che, tranne le poche risorse genetiche agrarie presenti in Italia le quali, come sopra indicato, vanno giustamente ed attentamente conservate, la stragrande maggioranza del mais coltivato nel nostro Paese ha ben poco di “tradizionale” essendo costituito da ibridi prodotti da multinazionali del settore sementiero.
Società scientifiche e prestigiose accademie italiane si sono da tempo interessate ai problemi connessi con l’uso di OGM riportando i risultati delle loro analisi in specifiche pubblicazioni; spiace dover rilevare che questi risultati sembrano essere sconosciuti o comunque non essere considerati dalla politica italiana.In generale, la coesistenza è un problema politico-economico e non scientifico e come tale andrebbe gestito ai fini delle decisioni politiche, senza tentare di utilizzare argomentazioni su presunte basi scientifiche difficilmente difendibili.
A livello di produzione agricola la presenza casuale di materiali GM in prodotti convenzionali e biologici dipende fortemente dalla biologia della specie, dai sistemi di coltivazione, dalle pratiche agronomiche, dall’agroecosistema, dalla struttura (in particolare dalla frammentazione) della proprietà fondiaria, dal livello di adozione delle varietà GM. Per questo non possono essere indicate raccomandazioni valide per tutti i Paesi ma il problema va studiato a livello nazionale e regionale, cosa impossibile da attuarsi senza una adeguata sperimentazione su campo che ormai viene di fatto vietata in Italia da oltre un decennio e che la mozione del Senato e la posizione espressa dal Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali sembrerebbero continuare ad escludere.E’ interessante notare in proposito che negli anni passati un gruppo di esperti, riuniti a lungo presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, ha prodotto oltre 20 “protocolli di specie geneticamente modificate” per la coltivazione in sicurezza, presso campi sperimentali organizzati ad hoc, di piante agrarie geneticamente ingegnerizzate al fine di dare risposte specifiche circa la coltivazione di tali piante nelle condizioni pedoclimatiche italiane.  

Del gruppo facevano parte docenti universitari, ricercatori del Consiglio per le Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA), rappresentanti delle Regioni, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero della Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Non mi è chiaro che fine abbiano fatto detti protocolli tecnici dopo varie riunioni presso la Conferenza permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome e perché non siano stati resi operativi dagli organi competenti. Mi chiedo se non sarebbe stato opportuno che, per tempo, il nostro Paese avesse fatto affrontare ai propri ricercatori queste problematiche, invece di appoggiarsi unicamente su quanto sviluppato da altri utilizzando poi, quando reputato opportuno, solamente una parte delle risultanze estere. In questo modo di procedere vedo una “sudditanza” scientifica non accettabile, dato il valore riconosciuto a livello internazionale degli studiosi italiani che operano presso qualificati enti di ricerca (Università, CNR, CRA, ENEA, INRAN). Questo comportamento ha, tra l’altro, prodotto un grave danno ai numerosi laureati in Biotecnologie degli Atenei italiani costretti a trasferirsi in Paesi comunitari e terzi ove la ricerca in questo campo non è così evidentemente penalizzata e, più in generale, alla ricerca italiana nel settore agrario che viene ad essere depauperata di alcune delle migliori giovani menti.Il perdurare ormai da oltre un decennio di una politica del Paese di fatto pregiudizialmente ostile alla ricerca sugli OGM di origine vegetale non fa che aumentare continuamente il divario di conoscenze tra il nostro Paese e quelli in cui questo tipo di ricerche sono possibili, con riflessi che potrebbero rivelarsi negativi per la nostra agricoltura.Concludo continuando a sperare che venga presto dato seguito ai propositi, più volte espressi da personalità di tutte le inclinazioni politiche ma mai attuati in questi anni, di fare sì che anche in Italia si possa sviluppare una ricerca capace di dare risposte, valide per il nostro Paese, alle legittime richieste provenienti dall’opinione pubblica e dal mondo produttivo.





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