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Home » Economia e Finanza » Economia UE » FINANZA/ 2. Germania, Italia e Spagna: i guai che affondano l’euro

  • Economia UE
  • Economia e Finanza

FINANZA/ 2. Germania, Italia e Spagna: i guai che affondano l’euro

Mauro Bottarelli
Pubblicato 9 Agosto 2012
Euro_Bce_SeraR439

Infophofoto

Mentre dalla Germania arrivano segnali poco incoraggianti, la situazione della Spagna si fa più critica e l’Italia non può certo dirsi al riparo. L’analisi di MAURO BOTTARELLI

Et voilà, la Bce amplia la possibilità di utilizzo dell’Ela per la Grecia affinché questa eviti il default già ad agosto e Standard&Poor’s cosa fa? Rivede al ribasso, da stabile a negativo, l’outlook ellenico, lasciando invece invariati tutti gli altri rating. Secondo l’agenzia, «considerati i continui ritardi nell’attuazione del consolidamento di bilancio e il peggioramento dell’economia greca, con ogni probabilità Atene chiederà ulteriori finanziamenti per il 2012 in base al programma concordato con la troika, Bce, Ue e Fmi». L’agenzia prevede inoltre che il Pil ellenico, «subirà un’ulteriore contrazione del 10-11% a differenza del 4-5% previsto dal programma Ue/Fmi per il 2012-2013». Il rating resta confermato a “CCC”, a un passo dal default conclamato. Per carità, tutti i torti S&P’s non li ha, ma certamente il timing appare quantomeno sospetto. Come al solito, d’altronde.


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In compenso, come vi dicevo martedì, giungono sempre più sinistri scricchiolii dalla locomotiva tedesca. La produzione industriale della Germania è infatti scesa dello 0,9% a giugno rispetto al mese precedente, a causa del calo dell’attività nel settore manifatturiero e in quello delle costruzioni, stando a quanto reso noto dal ministero dell’Economia di Berlino. La produzione del comparto manifatturiero è scesa dell’1%, quella delle costruzioni è calata del 2%, mentre il settore energia ha segnato un incremento dell’1,2%. E sempre ieri, la Germania ha venduto bond a dieci anni per 3,4 miliardi con un rendimento dell’1,42%, un tasso in rialzo rispetto all’ultima analoga operazione dell’11 luglio, quando si attestò all’1,31%. Molto buona la domanda, ma il segnale psicologico dell’aumento dello yield non va sottovalutato, anche alla luce di quanto sta accadendo tra i market makers dell’obbligazionario.


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Se infatti i titoli di Stato americani, tedeschi e giapponesi restano un bene rifugio per gli investitori “spaventati”, ora, con la crisi che si amplia, in molti guardano con interesse anche ad altri paradisi sicuri, quali Norvegia, Svezia, Canada e Australia, considerate ancora più sicure. Lo riportava martedì il New York Times, sottolineando che la ricerca di investimenti che hanno pochi o nessun rischio di default è ormai un tema dominante. E i bond tedeschi sono diventati meno attraenti a causa della loro esposizione ai rischi del crollo dell’area euro: stando ai dati di Axel Roever, analista di JPMorgan, i fondi monetari americani hanno ritirato 17 miliardi di dollari dalle banche tedesche e 19 miliardi di dollari dall’Olanda in giugno, mentre investivano 5 miliardi di dollari nelle banche norvegesi e 9 miliardi di dollari in quelle svedesi.


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Insomma, la Merkel non ha di che stare troppo allegra. Così come altri leader, anche quelli che a ogni intervista che concedono riescono sempre a farla fuori dal vaso, come si dice a Milano. Mi riferisco, ovviamente, al buon Mario Monti, il quale per rasserenare il clima del Paese non ha trovato di meglio che dichiarare al Wall Street Journal come con Berlusconi ancora a Palazzo Chigi lo spread con il Bund sarebbe ora a 1200 punti base. Ovvero, il livello della Grecia. La quale, nonostante l’austerity, i governi fantoccio e gli scioperi, non è ancora fallita, poiché la Bce la sta mantenendo artificialmente in vita e continuerà a farlo. Quindi, prima di parlare, Mario Monti dovrebbe fare un bagno di umiltà e rendersi conto di quanto ottenuto dal suo governo e quanto avuto in regalo dall’amico Mario Draghi.


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Certo, andare al governo con lo spread che flirta con quota 570 punti base come ha fatto lui lo scorso novembre non è un bel viatico, ma farlo sapendo che di lì a un mese la Bce avrebbe sfoderato il cannone dell’asta Ltro rende il compito più sereno da affrontare, che dite? Non penserete che il buon professore non avesse avuto rassicurazioni al riguardo quando ha accettato il compito di salvatore della patria, vero? E siccome la prima non era stata sufficiente, ecco che a fine febbraio la Bce inonda ancora un po’ le banche europee di denaro a costo praticamente zero per tre anni al fine di trasformare gli istituti del Vecchio Continente in primary dealers del debito sovrano a rischio, togliendo le castagne statutarie e procedurali dal fuoco a Draghi.


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Ti piace vincere facile eh, caro professore? Nonostante questo, lo spread non è crollato come aveva annunciato tronfio l’ex consulente di Goldman Sachs, quando il 29 febbraio scorso – guarda caso il giorno esatto della seconda asta Ltro – dichiarò che «gli spread dell’area euro non torneranno a impennarsi», in particolare quello Btp-Bund che, sfondata al ribasso quota 340 punti base, «ora non salirà più». E meno male, visto che senza il bluff di Draghi e dei suoi interventi-fantasma quota 500 era stata sfondata allegramente la scorsa settimana e si veleggiava verso 600: ma come, non doveva non risalire più? E ripeto, Monti deve accendere un cero ogni qualvolta Mario Draghi parla, visto che la sua azione di governo – tra esodati presi a caso, spending review con i taglia a caso e regali assistenzialistici alla Sicilia – aveva riportato la situazione a quella dello scorso autunno, se non peggio.


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Meravigliosa, in tal senso, la Fornero: «L’autunno sarà difficile, il futuro industriale del Paese è a rischio». Scusate, ma siete al governo per trovare soluzioni o solo per constatare il decesso della nazione, come un membro del coroner? Con Berlusconi al governo lo spread sarebbe a 1200? Forse sarà anche vero, ma senza l’aiutino continuo di Draghi, dove sarebbe quello reale del governo Monti? Facile fare lo statista con lo spread degli altri, parafrasando Ricucci. Il problema è che, dopo qualche giorno di anestesia draghiana, la svendita di bond sovrani italiani e spagnoli è ripartita, mitigata soltanto dai cattivi risultati dei Bund, capaci di calmierare un po’ la forbice dello spread e tenerlo sotto controllo. Il biennale spagnolo è di nuovo sopra il 4% di rendimento e il decennale flirta nuovamente con quota 7%, mentre la curva biennale-decennale italiana torna in modalità di flessione e a rischio inversione.

Il perché è presto spiegato: la Spagna non accetterà mai un salvataggio completo se questo imporrà condizioni draconiane di controllo, come imposto dall’Ue, quindi prima di migliorare, la situazione dovrà ancora peggiorare. E non di poco. Inoltre, la Bce per “spaventare” davvero i mercati dovrà mostrare chiaramente l’intenzione di comprare debito sovrano lungo tutta la curva, non solo nelle scadenze più brevi: e per essere costretta a questo, significa che la situazione dovrà sfuggire davvero dal controllo, tanto che JPMorgan consiglia ai clienti di shortare ancora i Bonos decennali con stop-loss al 7,75% di rendimento, limite oltre il quale – per tutti gli analisti – l’Eurotower dovrà per forza intervenire.

Inoltre, a giustificare queste previsioni disastrose ci pensano i numeri macro della Spagna: l’output industriale di giugno ha registrato un -6,2% e, peggio ancora, il target di deficit sul Pil è già ora del 4,5%, contro le stime del 3,5% comunicate all’Unione europea dal governo Rajoy solo lo scorso aprile. Avanti di questo passo, entro la fine dell’anno quel numero potrebbe arrivare o eccedere l’8%.

L’Italia non sta meglio, visto il dato spaventoso del Pil presentato martedì e il fatto che le sofferenze bancarie dei nostri istituti a giugno hanno toccato il 15,8%, come certificato da Bankitalia: ma come, i bilanci delle banche non si fanno ammansire dalle parole di Monti e dalle promesse di Draghi? A quanto pare, no. Unite a questo quadro, il fatto che – come dimostrato in precedenza – la Germania sta entrando in recessione e avrete un quadro completo di quanto ci aspetta da qui all’inizio di settembre. Forse, prima di rilasciare interviste, qualcuno dovrebbe pensarci due volte.

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