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Home » Esteri » ELEZIONI GRECIA 2015/ Il “terzo” vincitore tra Tsipras e Meimarakis

  • Esteri

ELEZIONI GRECIA 2015/ Il “terzo” vincitore tra Tsipras e Meimarakis

Sergio Coggiola
Pubblicato 20 Settembre 2015
grecia_elezioni_bandiereR439

Infophoto

Oggi i greci sono chiamati a votare per le elezioni parlamentari. I sondaggi danno un testa a testa tra Tsipras e Meimarakis. Il punto da Atene di SERGIO COGGIOLA

Vince Syriza. Una vittoria mutilata. Vince Nea Demokratia. Una vittoria insperata. Il vero vincitore: il Memorandum III che aspetta di essere applicato. Avranno ragione i sondaggi che danno i due partiti quasi alla pari? Forse no, dato il precedente del referendum. Comunque sia, il voto di oggi non lascia molti margini di scelta al vincitore. E il Paese conosce a fondo i termini dell’accordo di luglio, oppure si illude che Tsipras abbia la forza politica di adottare un “programma parallelo” di cui non si conoscono i termini? Oppure si augura che i conservatori offrano più garanzie di stabilità?


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Il prossimo futuro, tre anni, della Grecia è già segnato dalla “road map” del Memorandum III. Nessuno dei due contendenti si è assunto la responsabilità di spiegare agli elettori quali sono le loro strategie future per il Paese. Quali le sue prospettive macro-economiche, quale modello di sviluppo, quali misure per debellare la disoccupazione, come combattere la corruzione e l’evasione fiscale. 
E non sono bastate cinque tornate elettorali per risolvere i problemi di una crisi economica che si trascina da decenni e che, in buona parte, è da imputare a una classe politica inefficiente e corrotta e al settore privato di rinnovarsi. Soltanto quest’anno si è votato tre volte. Fatti i calcoli questa di oggi è la quinta volta che, a partire dall’ottobre del 2009, si vota per eleggere il Parlamento. Senza contare due euro-elezioni e il referendum.


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È la cartina di tornasole di una profonda crisi sociale e politica che oggi ha raggiunto il suo picco. Le riforme che nessun primo ministro, dal 2009, ha avuto il coraggio di presentare e applicare a fronte di tre prestiti europei, adesso dovranno essere implementate. E in fretta. Il nuovo Parlamento dovrà, nei prossimi quaranta giorni, votare circa un terzo dei capitoli previsti dall’ultimo accordo. Dovrà, cioè, approvare quelle riforme che né Papandreou, né Samaras, né Tsipras sono riusciti a far votare. Sarà il primo passo per ottenere una mini-tranche di 3 miliardi per far fronte alle spese correnti. Poi si dovrà aprire il capitolo della ricapitalizzazione delle banche, circa 25 miliardi. Poi quello della ristrutturazione del debito. Poi un iperbolico aumento delle tasse. Poi la riforma del sistema pensionistico. Poi ancora la revisione delle legge di bilancio 2015 e la redazione della bozza per il 2016. 


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Sotto il peso di queste responsabilità che farà il nuovo governo? Quanto durerà? E poi quale governo. Di certo sarà un governo di coalizione. Gli europei preferirebbero che fosse a trazione Syriza. Tsipras offre maggiori garanzie: all’opposizione sarebbe più pericoloso perché potrebbe riportare i suoi nelle piazze, con le conseguenze che Atene conosce bene. Inoltre garantirebbe una maggior forza nella lotta all’evasione e nella demolizione delle lobbies economiche che hanno gestito, nell’ombra, gli affari del Paese. Ma avrà la forza politica di varare pesanti misure di austerità? E quali saranno di suoi alleati di governo? Non sarà facile come a gennaio con Anel, il partito di destra.


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Tra i due leader, Tsipras e Kammenos, l’accordo fu semplice: io governo, tu non mi metti i bastoni tra le ruote, e in cambio ti offro alcune poltrone ministeriali. Con il Pasok e To Potami le trattative saranno difficili, perché entrambe queste formazioni, pur avendo votato il Memorandum III, hanno delle precise strategie politiche che divergono da quelle di Syriza. Con una vittoria di Nea Demokratia il quadro politico sarebbe più semplice, ma metterebbe Tsipras in una situazione delicata: può opporsi a quelle riforme che lui ha sottoscritto nel Memorandum III? 


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Soltanto un punto è chiaro. Per la Grecia è l’ultima occasione. Oltre a questa si apre la porta verso un futuro ignoto, che poi tanto ignoto non è: l’uscita della Grecia dalla zona euro. Non se ne parla più ad Atene, ma il pericolo non è scongiurato. Purtroppo Alexis Tsipras, come i suoi due predecessori, ha avuto troppa fretta nell’andare alle elezioni anticipate. Ad agosto poteva contare su una ampia maggioranza parlamentare (circa 220 voti) e poteva continuare a governare per il periodo di tempo sufficiente a dare avvio al programma di riforme. Poi andare alle elezioni. Ma non si è assunto la responsabilità. Ha scelto di consultare il “popolo”, ma ha fatto male i calcoli perché era forse convinto, a fine agosto, che il 62% dei “no” gli avrebbe fornito una facile vittoria, magari con la maggioranza assoluta. Ma non aveva messo in conto la delusione degli elettori.


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Errore, l’ultimo della prima serie. Ha ammesso di aver compiuto molti sbagli. Vero, ma non li ha quantificati in percentuale di recessione, in aumento della disoccupazione, nel congelamento della produzione. Ma soprattutto non ha chiarito perché ha riposto la sua fiducia in collaboratori che poi si sono rivelati dei “giuda”. Uno di questi, Varoufakis, ha pubblicamente dichiarato che voterà per Unione Popolare, del dracmista Lafazanis, per non parlare di altri, come l’ex vice presidente del Parlamento che, sospettato di aver evaso circa un milione di euro, è stato escluso dalla lista. Per dispetto, e dimenticando i suoi peana al leader Tsipras, ha invitato a votare per i dracmisti o per i comunisti. 

I greci li hanno provati tutti. Il socialista che vinse con lo slogan “i soldi ci sono” e che poi fu costretto a firmare il Memorandum I, adesso in pensione. Il conservatore che trionfò grazie alle critiche al Memorandum I e tre mesi dopo firmò il Memorandum II, ora emarginato. Il radicale che promise di strappare il Memorandum II, di espellere la Troika, di porre fine alla fine dell’austerità e la liberazione dal giogo europeo e sei mesi dopo firma il Memorandum III. Ancora sulla piazza. Dai primi due c’era da aspettarsi il fallimento, entrambi erano espressione del clientelismo, della corruzione e della codardia del sistema politico.

Dal terzo la Grecia si aspettava la rinascita, o comunque un cambiamento del suo paradigma sociale. A gennaio era la grande speranza. Avrebbe riformulato il futuro del Paese. Ha sprecato sette mesi, usati per mantenere immobili gli equilibri interni del suo partito-caleidoscopio. Adesso chiede il voto per un “nuovo domani” e per cancellare “il vecchio”. Se finora “ha fallito con successo” – come sintetizza il settimanale tedesco “Der Spiegel” – lo sapremo domani.

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