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Home » Lavoro » Pensioni » RIFORMA PENSIONI 2016/ Simonetti: il governo vuole la flessibilità a spese di lavoratori e aziende

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RIFORMA PENSIONI 2016/ Simonetti: il governo vuole la flessibilità a spese di lavoratori e aziende

Int. Roberto Simonetti
Pubblicato 29 Aprile 2016
padoan_pier_carlo_leggio

Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan (Infophoto)

Riforma pensioni 2016. Rispetto ai piani del Governo, ROBERTO SIMONETTI spiega che il suo timore è che si voglia gravare sul costo del lavoro per le aziende o sui lavoratori

«Il mio timore è che il governo stia preparando una flessibilità in uscita interamente a carico delle aziende e dei lavoratori». È il commento di Roberto Simonetti, deputato della Lega nord, segretario della commissione Lavoro alla Camera. Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, parlando di fronte alla commissione Bilancio di Camera e Senato ha detto: “Ci sono margini per ragionare sia sugli strumenti sia sugli incentivi per migliorare le opportunità per chi sta per andare in pensione e per chi deve entrare nel mondo del lavoro. In questo senso sono aperto a forme di finanziamento complementare”.


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Che cosa si aspetta alla luce delle parole del ministro Padoan?

Bisogna capire che cosa si intende per finanziamento complementare. La mia preoccupazione è che il secondo pilastro si tramuti in primo. Non vorrei che poi il sistema pensionistico di primo livello, legato alla contribuzione diretta, venisse a essere “aiutato” con un finanziamento privato o del datore di lavoro o del lavoratore.


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Lei che cosa teme in particolare?

Non vorrei che questo finanziamento si tramutasse in un aumento delle aliquote contributive o addirittura nella costituzione di un secondo pilastro rafforzato che in futuro diventerà sostitutivo rispetto al primo. Il mio timore è che si voglia utilizzare il Tfr come nel caso del pensionamento anticipato attraverso il part-time, il cui decreto è stato approvato la scorsa settimana. In quest’ultimo caso si va a gravare per il 24% sul costo del lavoro per le aziende. Di fatto è una flessibilità in uscita pagata dal datore di lavoro.

Come valuta questa scelta?


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Personalmente non condivido questa scelta, in quanto ritengo che la flessibilità in uscita andrebbe finanziata grazie alla fiscalità generale come è sempre avvenuto. La flessibilità va cioè resa possibile da un risparmio nella spesa generale dello Stato attraverso il taglio delle uscite improduttive, e non invece con un aggravio della contribuzione privata.

La previdenza integrativa è comunque consigliabile per un giovane che intenda percepire una pensione dignitosa in tempi ragionevoli?

Sì. Tanto vale mettere i propri risparmi in un’assicurazione, anziché darli allo Stato, visto che poi il lavoratore nato nel 1980 non riceverà indietro l’assegno prima di avere compiuto i 70 anni. A un lavoratore che oggi ha 30 anni conviene molto di più aderire a un’assicurazione privata, concordando che quando avrà 60 anni il capitale gli darà una rendita stabilita da un accordo tra le parti.

Quanto può venire a costare un’assicurazione privata?

Investendo tra i 5 e i 7mila euro l’anno, con una rivalutazione tra il 3 e il 3,8%, uno può ritirarsi dal lavoro con 10 anni di anticipo. Se io fossi un ragazzo di 25-30 anni, anziché per il fondo pensione opterei per un’assicurazione privata con una data certa di termine, in modo tale da non legare l’assegno all’avvenuta maturazione del debito pensionistico.

 

Il governo intanto ha promesso gli 80 euro alle pensioni minime e un nuovo taglio delle tasse. In più deve disinnescare le clausole di salvaguardia. Ha le risorse per una riforma delle pensioni?

Bisogna capire quali siano le priorità dal punto di vista delle attese di bilancio. Per noi una priorità è quella della flessibilità in uscita. Inoltre il governo dovrebbe indicare quali tasse intende abbassare. Il costo per la flessibilità in uscita con una penalizzazione del 3% annuo è pari a 3,5 miliardi di euro l’anno a partire dal 2019. Sono cifre che si possono trovare, e d’altra parte possono essere compensate da riduzioni della spesa pubblica. Su una finanziaria da 35 miliardi, 3,5/4 miliardi si possono destinare tranquillamente alla flessibilità in uscita.

 

Queste somme si possono trovare alla luce di quanto è scritto nel Def?

Nel Def c’è una serie di annunci che non hanno però una quantificazione, una definizione o dei perimetri ben evidenziati. Le parole hanno un peso. Purtroppo però nel Def non si parla di una volontà di fare, ma di una volontà di “valutare se attuare le modifiche legislative atte alla flessibilità in uscita”. Sono due cose abbastanza diverse: un conto è valutarne il costo per poi vedere se effettuarla o meno, altra cosa è dire che la flessibilità si farà.

 

(Pietro Vernizzi)

Tags: Riforma pensioni

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