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Home » Lavoro » Pensioni » RIFORMA PENSIONI 2016/ I “conti della serva” per le pensioni di reversibilità

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RIFORMA PENSIONI 2016/ I “conti della serva” per le pensioni di reversibilità

Gian Luca Barbero
Pubblicato 13 Marzo 2016
pensionati_pensioni_anziani_welfare

Infophoto

Riforma pensioni 2016, cosa può accadere alle pensioni di reversibilità nonostante le dichiarazioni del Governo? GIAN LUCA BARBERO prova a rispondere con dei conti della serva

Il polverone sollevato dalle pensioni di reversibilità parrebbe risolutamente sedato dal Governo, affrettatosi a precisare che “non c’è mai stato nulla; è la tipica tempesta in un bicchier d’acqua“. Tempesta o no, per ora l’accenno alle pensioni di reversibilità resta almeno citato sulla carta, cioè sul disegno legge approvato dal Consiglio dei Ministri a fine gennaio. Tra le varie elucubrazioni, ho provato, non senza un pizzico d’ansia, a prefigurare alcuni scenari, per provare a sondare che cosa ci possiamo attendere.


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Per non urtare inutilmente la sensibilità di economisti ed esperti previdenziali, debbo doverosamente premettere che non sono in grado di effettuare simulazioni; le riflessioni che seguono, pertanto, hanno più il carattere di esercizio astratto, dove forse mi sono affidato più all’immaginazione che all’aritmetica. Per una volta disponiamo del termine tecnico forse più appropriato: si tratta di due banali conti della serva.


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Qualcuno ha osservato che la pensione di reversibilità già ora è soggetta a riduzioni in base al reddito del titolare. È vero, ma si tratta di una riduzione parametrata al solo reddito e non anche ai componenti del nucleo familiare e parzialmente al patrimonio posseduto.

Consideriamo una classica vedova che, deceduto il marito, rimane sola, unica componente del nucleo familiare, con un reddito annuo di 15.000 euro. Secondo le regole vigenti, avrebbe diritto al 60% della pensione del coniuge defunto. L’importo dell’assegno, inoltre, dovrebbe essere ridotto da un minimo del 25% in presenza di reddito superiore a 3 volte il trattamento minimo Inps a un massimo del 50% in presenza di reddito superiore a 5 volte il trattamento minimo. In soldoni, considerato che l’importo annuo del trattamento minimo per il 2015 è pari a 6.531,07 euro, la riduzione oscillerebbe tra il 25% con un reddito di circa 19.000 euro e il 50% con un reddito di poco superiore a 32.000 euro. Nell’esempio, la nostra vedova non subirebbe alcuna decurtazione e, quand’anche decurtato, potrebbe condurre una vita più che dignitosa, tenendo conto che deve badare solo a se stessa.


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Immaginiamo ora di dover legare la pensione di reversibilità all’Isee. Che cosa potrebbe succedere? Ipotizzando che, oltre al proprio reddito, la nostra vedova abbia accumulato nella sua vita qualche risparmio, complessivamente per 40.000 euro, e abbia una piccola abitazione del valore imponibile di 30.000 euro, otterremmo un Isee di circa 21.600 euro. Ipotizzando che la futura norma, ancora da scrivere, agganci a questo parametro le precedenti riduzioni, sostituendo al reddito l’Isee calcolato, la nostra vedova subirebbe una decurtazione del 25%, superando di circa 2.000 euro la soglia del triplo del trattamento minimo.

Complichiamo un po’ lo scenario e aggiungiamo un componente al nucleo familiare; ad esempio, un figlio, non tecnicamente a carico, ma che non riesca a trovare un lavoro adeguatamente remunerato e racimoli un reddito complessivo annuo di 10.000 euro, approfittando così – nel senso buono del termine – sia della mamma, sia di almeno un po’ della sua pensione (caso oggi non tanto infrequente). Otterremmo un Isee di circa 20.000 euro: ancora non ci siamo! Naturalmente le cose cambiano se supponiamo che la nostra vedova viva in una casa in affitto con un canone annuo di 8.000 euro: con o senza figlio avremmo un Isee di poco inferiore a 17.000 euro. Dobbiamo quindi suggerire alla nostra vedova di vendere la casa e abitare in affitto? Non saprei, perché i proventi della vendita diventerebbero risparmi del patrimonio mobiliare: ipotizzando che la vendita sia avvenuta nel 2014, per 80.000 euro e la somma sia poi stata impiegata in tradizionali strumenti di risparmio, avremmo un Isee di quasi 36.000 euro (quasi 30.000 euro considerando il figlio). Così, a prima vista, ne ricaveremmo una maggiore riduzione dell’assegno pensionistico.

E se abbandonassimo la via delle attuali riduzioni per incumulabilità con redditi del beneficiario e ipotizzassimo di collegare il diritto alla pensione di reversibilità a situazioni economiche non superiori a determinate soglie di Isee? In tal caso la pensione di reversibilità in nulla differirebbe da altre prestazioni assistenziali e la disciplina pensionistica sul punto andrebbe completamente ridisegnata.

Infine, ci potrebbe essere anche un ulteriore impatto: considerata la complessità delle norme e delle procedure, sarà in grado una vedova, rimasta sola magari in età avanzata, di effettuare tutti gli adempimenti previsti, o potrà anche cadere preda di improvvisati consulenti alla ricerca di nuovi business?

Tutte domande alle quali, in definitiva, non saprei rispondere: sono di indole abbastanza pessimista. 

Tags: Riforma pensioni

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