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Home » Lavoro » Giovani, Famiglia e Lavoro » GIOVANI E LAVORO/ Così l’Ue può evitare la “generazione perduta”

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GIOVANI E LAVORO/ Così l’Ue può evitare la “generazione perduta”

Mario Cardarelli
Pubblicato 11 Aprile 2016
draghi_carte_bceR439

Mario Draghi (Infophoto)

Nella prefazione al Rapporto annuale della Bce, Draghi ha ricordato che con la disoccupazione giovanile si rischia una generazione perduta. Il commento di MARIO CARDARELLI

Il Rapporto annuale 2015 della Bce è stato pubblicato con la prefazione a firma del suo Presidente. In merito a questo ho avuto occasione di avvicinare il suo monito (l’Ue potrebbe non reggere l’impatto di un prossimo “big crunch da tsunami finanziario”) all’inizio di un “play off” che vede l’Ue in partita geoeconomica e geopolitica verso il resto del mondo. Mario Draghi inoltre, come spesso nei suoi interventi lungimiranti, sintetici, e per questo a impatto immediato, ha lanciato un ulteriore allarme sul rischio che stanti le condizioni esistenti e il loro riflessi sul mercato del lavoro si possa creare una “generazione perduta” senza futuro per i giovani.


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Al pari di quelle ripetute da papa Francesco, non sono parole espresse in modo leggero o di circostanza. Se quelle del primo hanno un fondamento universale dove il lavoro concorre come fattore di dignità e libertà, le parole del secondo non si disgiungono dalla più circoscritta base macroeconomica e in particolare finanziaria e dalle interrelazioni che in questa e da questa si producono. Giuseppe Palomba in uno dei suoi saggi di fisica economica scritto nel secolo scorso e poco noto (ci scommetto) agli economisti quantitativi o meno, richiamò l’attenzione sull’organica interazione dei fatti economici che definirei “olistica” e che abbiamo più volte visto come effetto della globalizzazione.


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Questa premessa appare lunga, ma vorrebbe aiutare a spiegare, nel presente, come non si possa pensare al fatto che la politica della Bce supportiva (e, in un quadro rigidamente normato sulla sua mission, perfino audacemente” suppletiva) possa ovviare alle mancanze, ai litigi, alle contraddizioni di un’Ue che troppo spesso appare come un condominio rissoso, se non addirittura un regno diviso al suo interno prossimo a crollare, riportato nel Vangelo di Luca. E quindi possa riuscire da sola a salvare l’Ue in un mondo così complesso e in difficile equilibrio ove qualsiasi “fattore K” scatenasse un nuovo evento (ad esempio implosione creditizia da portafogli crediti/debito sovrani, o esplosione da leverage per derivati, che dir si voglia).


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Il lettore potrebbe chiedersi che c’entrano le banche con il lavoro e con il rischio di perdere una generazione. C’entrano perché le banche commerciali (come sono in maggior parte quelle italiane) per dare credito all’economia sono nel corpetto di stecche di balena di Basilea 3 che potrebbe anche essere il migliore dei mondi possibili se non ci fosse stato il 2007/8 e seguenti. Senza crescita dell’economia, non c’è lavoro. Senza politiche anti-cicliche del debito, non c’è lavoro. Pertanto l’economia soffre perché la politica d’intervento varata da Mario Draghi superando faticosamente le resistenze della Bundesbank, della Germania&Co, produce effetti più di contenimento e resistenza che quelli voluti di sostegno e rilancio. Il cavallo di Keynes in questa accezione di scenario non beve l’acqua che c’è perché a fronte della sua disponibilità la riceve limitata in quanto la manopola del rubinetto della fontana è parzialmente bloccata.

Paesi che hanno messo in sicurezza le loro banche prima del varo delle normative di vigilanza prudenziale e del “bail-in” hanno poi stigmatizzato altri Paesi dopo il varo del di quanto sopra. Le banche c’entrano perché i colossi del credito inglesi, francesi e tedeschi, lavorando da grandi banche globali al contempo commerciali e d’investimento, concorrono a creare denaro altrove come base monetaria utile ma altamente instabile di fronte a uno shock finanziario e/o valutario. C’entrano nella misura in cui nell’Ue perdurino e non si risolvano, re-iniziando un percorso di “ri-regolazione normativa” se non addirittura di “rifondazione di principi” da cui le norme discendono. Un percorso che partendo dalle componenti politiche nazionali si esprima in quelle sovranazionali e dia al Parlamento europeo quella base rafforzata per reggere alle temperie.

Ancora una volta il lettore si chiederà cosa c’entrino le banche. Le banche sono gangli, vettori e presidi dei sistemi di pagamento, di allocazione di risparmio, di crediti e d’investimento e la loro funzione e attività è oggetto di normativa prudenziale e di vigilanza. È chiaro che in un condominio rissoso c’è chi riesce a far passare la sua linea se l’amministratore è sensibile, se non addirittura compiacente verso alcuni piuttosto che altri… E poi si sa quanto sia difficile il dopo, se affrontato un ordine del giorno in un certo modo, a chi è assente, è distratto, a chi per pigrizia o per imperizia non riesca a concentrare su di sé consensi o deleghe, non resti altro che dolersene, ove non si prepari meglio in futuro.

Poiché in ogni condominio l’amministratore deve essere responsabilizzato nei confronti dei condomini, è bene che questo avvenga anche con la Commissione europea nei confronti del Parlamento europeo. Se al presente esiste nei fatti una “quasi governance duale” di Bce e Commissione, temporanea per turare e falle create o prodotte per equilibri di potere non “inter pares”, non vi può essere un dualismo politico e prospettico che partendo dalle disparità di trattamento consolidate dalla normativa e dalla prassi gestionale per nulla “best practice” realizzi effetti perversi.

La Commissione non può lavorare a due velocità e con strabismo normativo che finora ha comportato due pesi e due misure. E la Bce, nell’ambito delle norme che le sono state date, non può salvare l’Unione europea se l’Ue non vuole salvare se stessa. E questo significa che un rinnovato cammino deve essere intrapreso ripartendo dal Parlamento europeo.


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