Per ANTONIO INTIGLIETTA, “l’Artigiano in Fiera è un esempio di economia reale agli antipodi rispetto ai facili guadagni e all’astrattezza della finanza, che sta provocando tanti danni”
Si apre sabato la 16esima edizione dell’Artigiano in Fiera, che fino all’11 dicembre ospiterà quasi 3mila espositori da 110 Paesi del mondo nel nuovo polo di Rho-Pero. Il salone, organizzato da Ge.Fi. – Gestione Fiere SpA e promosso insieme a CNA, CLAAI, Casartigiani e Confartigianato, convocherà il meglio dell’artigianato mondiale all’interno di uno spazio espositivo organizzato in tre grandi aree geografiche (Italia, Europa e Paesi del Mondo), ognuna suddivisa in settori dedicati alle diverse regioni, nazioni e continenti. Ilsussidiario.net ha intervistato il presidente di Ge.Fi. SpA e del circuito europeo delle Fiere dell’Artigianato, Antonio Intiglietta, secondo cui “i 3mila espositori presenti sono la documentazione del fatto che il lavoro è plasmare la realtà per renderla più bella e più buona. Un esempio di economia reale, agli antipodi rispetto ai facili guadagni e alle operazioni astratte della finanza, che tanti danni sta provocando al nostro Paese e all’intera Europa”.
Intiglietta, qual è il motivo che spinge gli artigiani di 110 Paesi a riunirsi a Milano in occasione dell’Artigiano in Fiera?
Vengono a Milano innanzitutto per promuovere il loro lavoro. E il lavoro è plasmare la realtà per renderla più bella e più buona. In questa loro semplice dimostrazione sta una concezione di economia che ha al centro l’uomo, costituito da una tradizione e da una storia. Non quindi l’individuo che si afferma per se stesso, ma che comunica sé perché appartiene a un popolo. Lo stesso che ha trasmesso un mestiere agli artigiani, i quali a loro volta lo insegnano alle generazioni future. Questa è la prima ragione di successo della Fiera, il fatto cioè che il pubblico entra in contatto con questi uomini che comunicano loro stessi attraverso quello che fanno. Non è mai una semplice compravendita di una merce, ma la comunicazione di un’esperienza. Al punto che a volte all’artigiano dispiace vendere quello che ha prodotto, perché è come separarsi da un pezzo di sé.
Qual è il valore dell’artigianato nell’attuale fase di recessione attraversata dall’economia della Lombardia e dell’Italia?
Quella dell’artigianato è un’economia reale, che non realizza facili guadagni attraverso operazioni astratte come spesso accade alla finanza. E’ proprio il contrario dell’economia che sta fallendo e che sta producendo tanti danni al nostro Paese, perché basata sulla finzione e non sulla realtà. I mestieri manuali legati alla tradizione hanno al centro tutto l’uomo, spinto non soltanto dal desiderio di profitto ma anche dal bisogno di realizzarsi attraverso quello che fa. Ed è proprio ciò che occorre oggi per ricominciare. Per affrontare la crisi senza essere schiacciati dall’instabilità dei mercati finanziari, è necessario ripartire dalla centralità della persona e dalla riscoperta del fatto che il lavoro e l’economia sono per l’uomo e non usano l’uomo per qualcosa d’altro, come il profitto, il guadagno o l’affermazione del potere fine a se stessa.
Che cosa attrae i visitatori che ogni anno accorrono in massa nella Fiera di Rho-Pero?
Il fatto che ogni volta che vengono trovano qualcosa in grado di stupirli, tanto che l’espressione più ricorrente nelle corsie dei padiglioni fieristici è “che bello!”. Il lavoro fatto bene, in quanto ha valore in sé, fa sorgere questa affermazione. E questo genera un clima di festa. Infatti la ragione principale per cui il pubblico ritorna così fedelmente di anno in anno è questa comunicazione del bello, del buono, di questo reale così pieno di umanità al punto che è un piacere vederlo. E allora la Fiera diventa una “feria”, cioè una “festa”.
L’artigianato è anche un’opportunità per i giovani in cerca di lavoro?
La provocazione per i giovani è che è richiesto loro un salto culturale, perché per troppi anni abbiamo creduto che quello che permette la realizzazione sia soltanto la laurea e poi lo stereotipo del manager che fa carriera in una multinazionale. La conseguenza è che da una parte abbiamo migliaia di giovani allo sbando con condizioni di lavoro totalmente precarie, e dall’altra ci sono migliaia di posti di lavoro disponibili nell’artigianato che non trovano risposta. Questo ci dice anche della necessità di un ripensamento della logica con cui i giovani si concepiscono nel loro presente e futuro. Anche gli artigiani spesso sono laureati o diplomati, e la loro scelta lavorativa non è un di meno, bensì un modo per coniugare l’umiltà di imparare un mestiere con la cultura, l’intelligenza e la conoscenza delle innovazioni tecnologiche.
Qual è invece la sfida per i maestri artigiani?
Questa rappresenta una provocazione innanzitutto per loro, perché accogliere un giovane nella propria azienda implica la fatica del rischio educativo. Che è indispensabile per tenere desta la continuità della grande tradizione artigianale italiana ed europea, aiutando i giovani a trovare un lavoro senza vagare in modo spesso umiliante da un’azienda all’altra.
Intende dire che l’artigianato è esente dalla crisi e dai licenziamenti?
No purtroppo, la stagnazione del mercato internazionale ovviamente si ripercuote anche sull’economia interna. La micro e piccola impresa artigiana quindi ne risentono, rendendo necessarie politiche che semplifichino la vita a queste aziende. Mentre purtroppo tanta legislazione, tanta procedura, tanta burocrazia non aiutano affatto. Diverse politiche negli ultimi anni sono state del resto sostanzialmente indifferenti al mondo dell’artigianato, che a differenza delle multinazionali non ha licenziato le persone per puri calcoli di tenuta del fatturato.
Qual è l’origine dell’idea della dignità del lavoro manuale propria dell’artigianato?
Il lavoro manuale è la modalità con cui nel plasmare la materia si partecipa all’opera di Dio. Nel Medioevo, nelle scuole delle arti e dei mestieri, il lavoro manuale si è affinato sempre di più nel seguire la tradizione e nello stesso tempo l’innovazione. Dentro a quel senso estetico che è l’altra grande caratteristica della cultura cristiana, nella quale il bello è lo splendore del vero e quindi anche realizzare un’opera bella, come Dio comanda, rispettandone la forma e la funzione è un modo per vivere e comunicare la fede attraverso il lavoro.
(Pietro Vernizzi)
