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Home » Economia e Finanza » Economia UE » Bce & Euro » SPILLO/ Perché la Bce non si “accolla” i crediti delle imprese verso lo Stato?

  • Bce & Euro
  • Economia UE

SPILLO/ Perché la Bce non si “accolla” i crediti delle imprese verso lo Stato?

Augusto Lodolini
Pubblicato 20 Aprile 2013
Draghi_Leggio_BceR439

Infophoto

AUGUSTO LODOLINI commenta l’intervista a Il Sole 24 Ore di Yves Mersch, membro del Comitato Esecutivo della Bce, e la sua proposta di utilizzare le cartolarizzazioni per il credito alle Pmi

La situazione deve essere diventata molto grave se, dopo i recenti interventi di Draghi, la Bce ritorna a porre il problema del credito alle Pmi in un’intervista esclusiva de Il Sole 24 Ore a Yves Mersch, membro del Comitato esecutivo, per lunghi anni governatore della Banca centrale del Lussemburgo e solo da pochi mesi nella Bce. Mersch sottolinea che il problema coinvolge l’intera area dell’euro, come già aveva segnalato Draghi, sottolineando la loro importanza per il sistema economico e l’occupazione dell’intera eurozona. L’Italia, peraltro, si caratterizza per una più elevata dipendenza dal sistema bancario e soffre quindi maggiormente di fronte a una stretta creditizia, in particolare le Pmi, che meno possono o sanno utilizzare altri strumenti finanziari.


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Nel dichiarare che la Bce ha fatto quanto in suo potere per immettere nel sistema la liquidità necessaria, Mersch riafferma che la ricapitalizzazione delle banche e le modalità con cui la liquidità viene investita sono responsabilità dei sistemi nazionali. I tassi di deposito presso la Bce sono stati pesantemente ridotti per limitare la tendenza a lasciare la liquidità parcheggiata, ma è dubbio che il problema sia stato risolto. Le banche si difendono dicendo che devono investire sui titoli di Stato, operazione peraltro remunerativa, e che non possono aumentare le già molto consistenti sofferenze. Sarebbe interessante sapere quante derivano da operazioni finanziarie a leva altissima, o da investimenti al di fuori dell’ordinaria gestione del credito, come nei casi Telecom o Rcs, o dello equity swap Fiat e simili.


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Mersch fa presente che se una banca è sotto capitalizzata deve cercare innanzitutto capitali sul mercato e stabilisce anche l’ordine di priorità di chi deve metter mano alla borsa: azionisti, obbligazionisti non privilegiati, obbligazionisti privilegiati, e solo alla fine depositanti, distinguendo fra quelli garantiti e non garantiti. Aggiungendo che solo dopo si può ricorrere ai soldi dei contribuenti e verificando, comunque, che il modello di business della banca sia sostenibile, altrimenti si butta via denaro. Sarebbe interessante applicare questi punti al nostro sistema bancario, Monte Paschi in testa.


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Inoltre, Mersch ribadisce che la Bce è pronta ad affrontare il problema insieme ad altre istituzioni e, come possibile strumento, suggerisce cartolarizzazioni per potersi finanziare presso la Bce. Con questo strumento beni, o più spesso crediti, vengono posti a garanzia di titoli obbligazionari emessi sul mercato, strumento in passato abbastanza utilizzato, anche in Italia, per esempio da Tremonti.

Le cartolarizzazioni godono ora di pessima fama, poiché sono alla base dei malfamati “titoli salsiccia” con cui sono stati riciclati i mutui subprime e altri crediti più o meno inesigibili, ma Mersch sostiene che, almeno nella realtà europea, le cosiddette Abs (Asset-backed Securities), cioè le obbligazioni derivanti da operazioni di cartolarizzazione, hanno avuto risultati migliori del previsto. Certamente rimangono strumenti con un certo grado di rischio, per cui è necessaria una preliminare approfondita analisi per valutarne la rischiosità. Rimane il dubbio che queste operazioni, come l’emissione diretta di obbligazioni sul mercato, richiedano una certa dimensione aziendale e rimangano molto difficili per la maggior parte delle Pmi, a meno di stabilire consorzi di collocamento e dar vita a mercati dedicati.


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A questo punto vengono in mente i 90 miliardi di crediti delle imprese verso la Pa. In margine alla riunione del G20, il Ministro all’economia Grilli ha dichiarato che il “decreto sblocca debiti” porterà liquidità alle imprese e spingerà le banche a fare altrettanto. Il decreto riguarda però solo 40 miliardi, di cui solo una metà verrà erogata, si dice, prima della fine dell’anno, per gli altri 20 se ne parlerà nel 2014 e per i restanti 50 non se ne parla neppure. Non vorrei sembrare irriverente, ma mi sembra un “vai avanti tu che a me vien da ridere.” E intanto le imprese piangono, anzi chiudono.


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Anche il vicepresidente della Commissione europea Tajani interviene per dire che i debiti bisognerebbe pagarli tutti, entro 24-28 mesi, e che si può fare con l’emissione di bond. Cioè in un paio d’anni e intanto cosa dovrebbero fare le imprese che quei soldi li aspettano da mesi, se non da anni, magari alle prese con un settore in crisi, con banche che rifiutano ulteriore credito e chiedono il rientro dai fidi precedenti? Per intanto, come dice Tajani, si accontentino del fatto che da quest’anno la Pa si è impegnata a pagare entro 30 o 60 giorni.

Perché allora non utilizzare lo strumento suggerito da Mersch? Un ente pubblico, la solita Cdp magari con le Fondazioni bancarie, insieme a Bankitalia e Bce potrebbero cartolarizzare questi crediti, partendo dalle Pmi, ed emettere e collocare sul mercato le obbligazioni, pagando al più presto le imprese. Lasciando ovviamente la verifica agli esperti, a naso l’operazione, pur complicata, mi sembrerebbe fattibile, non metterebbe ulteriori costi sulle spalle delle Pmi, sarebbe condotta da enti affidabili, aumentando quindi le garanzie sull’operazione, e potrebbe essere condotta in tempi più brevi di quelli biblici del decreto. Non varrebbe la pena quanto meno discuterne?


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