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Home » Lavoro » Giovani, Famiglia e Lavoro » SPILLO/ Quel numero 1 che mette in crisi il lavoro dei giovani

  • Giovani, Famiglia e Lavoro

SPILLO/ Quel numero 1 che mette in crisi il lavoro dei giovani

Gianfranco Fabi
Pubblicato 14 Settembre 2013
scuola_esame_studenti_zoomR439

Infophoto

Il dato sulla disoccupazione giovanile risuona ormai periodicamente come una segnale d’allarme per una generazione che sta rischiando molto. L’analisi di GIANFRANCO FABI

Il dato sulla disoccupazione giovanile risuona ormai periodicamente come una segnale d’allarme sulla gravità delle crisi in cui l’Italia è precipitata in questi ultimi anni. Un dato ancora più drammatico perché dietro ai numeri ci sono progetti di vita, speranze e opportunità che rischiano di perdersi nello scorrere del tempo. Proprio per questo, quando era presidente del Consiglio, Mario Monti parlò di un rischio di una “generazione perduta” a cui la politica avrebbe dovuto dare una risposta. E di “trentenni in cerca d’autore” parla il rapporto della Fondazione Ambrosianeum (Milano 2013, ed. Franco Angeli, pagg. 256, € 24) dedicato alla condizione giovanile nella realtà milanese.


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Al di là dei dati analitici del rapporto vi sono due elementi di fondo che spiccano: da una parte il dato demografico strutturale, dall’altra la dimensione strettamente personale con la sempre maggiore difficoltà a fare coincidere il percorso educativo con le possibilità di trovare un lavoro adeguato alla propria preparazione.


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Il dato demografico è semplicemente rappresentato dal numero 1, un livello superato al ribasso dall’indice di fecondità che segnala il numero medio di figli per donna. Se il valore fosse 2 vi sarebbe un sostanziale equilibrio generazionale (dato che fare figli è una prerogativa tutta femminile). “Un indice di fecondità pari a 1 – commenta Alessandro Rosina – corrisponde invece a un dimezzamento da una generazione a quella successiva. Questo produce ovviamente un impatto rilevante sulla struttura per età della popolazione: i quindicenni milanesi risultano essere meno di 10mila, mentre i quarantacinquenni sono oltre il doppio”.


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Ci troviamo di fronte a una società profondamente squilibrata in cui si è innestato un circolo vizioso comune peraltro anche al resto d’Italia: meno giovani vuol dire meno domanda, meno consumi, meno famiglie che si creano e che mettono su casa. Si parla tanto del calo della domanda interna come fattore che ha accentuato la crisi italiana, ma non si parla con altrettanta forza, forse perché politicamente scorretto, del pesante effetto che la demografia ha sulla dinamica sociale ed economica.

Anche per queste difficoltà economiche il posto di lavoro appare spesso una delusione e talvolta un miraggio. Come sottolinea Cristina Pasqualini, “i trentenni italiani sono la prima generazione del nostro Paese ad aver provveduto in maniera più che abbondante alla propria formazione (lauree, dottorati, master, esperienze all’estero di studio-lavoro) per arrivare poi a non trovare un riconoscimento lavorativo adeguato in termini di retribuzione e di coerenza con i titoli di studio posseduti”. Basti pensare che solo poco più del 10% dei trentenni si riconosce come “fortunato” perché ha conquistato un posto di lavoro sufficientemente stabile e regolarmente retribuito. Mentre il 20% è costituito dagli “espatriati” che per trovare lavoro hanno scelto di andare all’estero e nella maggior parte dei casi hanno ottenuto significative soddisfazioni. La grande maggioranza dei trentenni è tuttavia insoddisfatta, logorata, ripiegata con un disagio sociale diffuso che solo la tenuta dei legami familiari riesce a rendere sopportabile.

Eppure, come sottolinea il presidente della Fondazione Ambrosianeum, Marco Garzonio, nell’introduzione, “questa generazione costituisce una risorsa fondamentale per la città”. E pur nell’incertezza, nella disillusione, nella difficoltà del sistema economico, appare necessario trovare le strade per dare concretezza alla speranza. E questo rapporto che aiuta a conoscere la realtà giovanile va in questa direzione.


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