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Home » Esteri » Cina » GUERRA DEL VIRUS/ Usa vs. Cina, il no di Pechino all’ispezione “aiuta” Trump

  • Cina
  • Esteri

GUERRA DEL VIRUS/ Usa vs. Cina, il no di Pechino all’ispezione “aiuta” Trump

Int. Carlo Jean
Pubblicato 6 Maggio 2020
Coronavirus Cina origini Pittsburgh

Laboratorio di Wuhan Lapresse

Che cosa è successo veramente nel laboratorio di Wuhan probabilmente non lo sapremo mai. Nondimeno Trump non rinuncia ad attaccare la Cina. Lo scenario

“Accuse infondate” per Pechino; “enormi prove” secondo l’amministrazione americana. Prove che però Trump non esplicita, a proposito della possibilità che nel laboratorio di Wuhan si stesse producendo un virus mortale, uscito all’esterno per un qualche incidente. Laboratorio, poi, costruito dai francesi alcuni anni fa in seguito a un accordo con la Cina, su cui anche Macron nutre forti sospetti. Come spiega Carlo Jean, esperto di strategia, docente e opinionista, già consigliere militare del presidente della Repubblica Francesco Cossiga ed ex presidente della Sogin, se è difficile che Trump abbia davvero delle prove in grado di inchiodare Xi Jinping, è anche vero che, non avendo Pechino mai permesso un’ispezione internazionale del laboratorio e avendo espulso tutti i giornalisti americani, la Cina si mette automaticamente dalla parte del torto.


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Sempre più fonti escludono che il coronavirus sia stato costruito in laboratorio, eppure da Trump a Macron i sospetti non mancano. Lei pensa che l’incidente sia una possibilità realistica?

La possibilità è realistica, date le scarse misure di sicurezza poste in atto sia dai francesi che dai cinesi quando venne realizzato il laboratorio. Se ne parlava già anni fa. Per dice che sia vero, ci vorrebbero però delle prove o quantomeno persone che vi lavoravano disponibili a testimoniare a sostegno della tesi di Trump.


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Trump dice di avere prove consistenti; allora perché non le tira fuori?

Una cosa è sostenere di avere prove, un’altra tirarle fuori. A vantaggio di Trump c’è il fatto che la Cina non ha mai permesso un’ispezione internazionale nei suoi laboratori, così come il fatto che i giornalisti americani siano stati subito espulsi, mentre quelli cinesi che hanno rivelato qualcosa sono stati messi in carcere o zittiti.

La Cina, poi, gode di un grande sostegno internazionale. Si dice che la stessa Oms sia sul suo libro paga. È così?

L’Oms è stata comprata dalla Cina, che ha dato prima 20 milioni di dollari e 30 adesso. Basta vedere il suo segretario per capire che è amico di Pechino. Comunque, senza prove chiare, è difficile che la contesa si risolva con una vittoria degli Usa.


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Si sono mosse anche diverse associazioni di avvocati che chiedono danni miliardari per la diffusione del virus. Quante chance hanno di spuntarla?

Zero. Esiste l’immunità di uno Stato sovrano, che non risponde per incidenti che provoca a meno che non siano previste sanzioni negli accordi internazionali come quelli che esistono sul nucleare. L’accordo di Stoccolma dice che chi trasporta materiale nucleare e provoca una contaminazione deve pagare i danni. Ci vorrebbe un accordo internazionale del genere, che però non c’è.

Agenzie americane hanno raccolto molti documenti che sostengono che dietro al virus ci siano interessi economici cinesi…


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Non direi. I cinesi hanno combinato un pasticcio, hanno fatto una campagna di disinformazione molto attiva, come attribuire il virus ai soldati americani.

Però la Cina ha già ripreso l’attività economica mentre l’Occidente è fermo.

Il problema non è tanto la produzione, ma la domanda. Paesi come l’Italia, che sono esportatori, hanno bisogno che ci sia domanda dei prodotti da esportare; se non c’è domanda, le produzioni restano dove sono.

Un centro studi cinese ha analizzato le reazioni globali contro Pechino ed è giunto alla conclusione che sia possibile anche il rischio di una guerra. Lo ritiene plausibile?


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La Cina non è in condizioni di entrare in guerra con gli Usa.

Perché?

Perché dipende dalle vie di comunicazione marittime, che sono tutte, dallo stretto di Malacca alla doppia catena di isole nel Pacifico, controllate dalla Marina americana, da quelle dei suoi alleati come il Giappone, all’India e a quelle dell’Indonesia e dell’Australia.

La Russia sembra l’unico paese a non accusare la Cina. Come mai?

La Russia dipende economicamente e tecnologicamente dalla Cina, quindi se ne sta tranquilla. Teme un atteggiamento duro, che possa provocare una reazione e un’ulteriore espansione in quello che Mosca considera le sue aree di influenza: Asia centrale, Europa caucasica e Baltico. La Cina con Xi Jinping si è mossa molto bene, ha stipulato accordi economici con paesi come l’Ungheria e la Slovacchia, a cui ha versato molti soldi. E adesso questi Stati hanno maturato debiti elevati, sono caduti nella trappola che ha riflessi anche di carattere politico.


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Capire cosa è successo davvero a Wuhan resterà impossibile?

Anche se Trump produrrà delle prove che in Occidente potranno essere considerate valide, la Cina continuerà a negare. Va detto, però, che Pechino ha degli svantaggi. Ha superato il Giappone come paese creditore degli Usa in titoli di Stato, circa un trilione di dollari. Con la sua rapidità di decisione Trump può dire ai cinesi che hanno in mano titoli spazzatura che non li rimborseranno mai.

Sarebbe un bel danno, non crede?

Per la Cina sì. È un paese che dal punto di vista economico si trova in condizioni meno floride di quanto di solito si pensi e si dica: il debito pubblico è al 300% del Pil e di cash non ne hanno più granché.

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