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Home » Musica e concerti » LA SCOMPARSA DI LITTLE RICHARD/ L’urlo selvaggio che cambiò l’America

  • Musica e concerti

LA SCOMPARSA DI LITTLE RICHARD/ L’urlo selvaggio che cambiò l’America

Paolo Vites
Pubblicato 10 Maggio 2020 - Aggiornato 11 Maggio 2020 ore 09:31
Little Richard (Lapresse)

Little Richard (Lapresse)

Ieri è morto Little Richard, vero nome Richard Wayne Penniman. L'attacco della sua Tutti Frutti definisce nel modo più completo il significato del rock'n'roll

“A WOP BOP A LU BOP A WOP BAM BOOM!”. Se c’è un attacco musicale che definisce nel modo più completo il significato del rock’n’roll, al di là delle masturbazioni mentali dei tanti critici che hanno riempito pagine inutili di studi, etichette, pseudoragionamenti a tavolino, è l’attacco di Tutti Frutti, il primo grande successo di Little Richard, vero nome Richard Wayne Penniman, nato a Macon, Georgia, profondo sud degli States, il 5 dicembre 1935, e morto ieri a 87 anni di età.


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Anni fa stavo intervistando Little Steven Van Zandt (quel “little” non lo scelse a caso), chitarrista, coautore e coproduttore di Bruce Springsteen, uno che di rock’n’roll ne sa abbastanza. Gli chiesi quale secondo lui fosse la canzone più significativa di questa musica. Mi aspettavo i soliti nomi, da Dylan ai Beatles agli Stones. Stette in silenzio qualche secondo poi mi guardò con un ghigno e pronunciò quei versi: a wop bop a lu a wop bam boom.


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Mi misi a ridere, ma aveva ragione. Se c’è mai stato un attacco di potenza devastante, una esplosione senza precedenti di sospiri, gemiti, strilli, ululati, e respiri affannosi che fece drizzare le orecchie a tutta l’America, quella fu Tutti Frutti. Era il 14 settembre 1955, Little Richard, scappato di casa a 14 anni perché stufo di sentire le nenie di Bing Crosby che amavano i suoi genitori e alla ricerca di qualcosa che gli bruciava l’anima senza sapere cosa fosse, entra in studio e lo devasta con quella improvvisazione che amava fare tra una registrazione e l’altra.


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Per mantenersi faceva il lavapiatti in un ristorante e intanto mandava provini alle case discografiche finché una etichetta di Los Angeles gli disse di essere interessata a lui. Quel brano era un’improvvisazione oscena piena di espliciti riferimenti sessuali. Ripulito un po’ il testo, divenne una hit da mezzo milione di copie vendute. Il piccolo ragazzo nero che già portava un incredibile ciuffo impomatato di 15 centimetri andava ad aggiungersi a quei giganti che stavano cambiando l’America: Elvis, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis. Il Paese più moralista e bigotto al mondo, ancora oggi, veniva messo a soqquadro da un gruppetto di teppisti che cantava la liberazione sessuale e la voglia di divertirsi. E l’America giovane andò loro incontro.

Ma come tutti quei giovani, anche Little Richard era cresciuto in un ambiente religioso, aveva imparato a suonare e a cantare nella sua chiesa e come tutti loro era ben consapevole di cosa aveva combinato. Quello che per loro era puro divertimento aveva scatenato una bestia in giro per l’America, e la morale cristiana che avevano assorbito da piccoli cominciò a tormentarli. Jerry Lee Lewis che era stato in seminario, scrisse Great Balls of Fire pensando alle fiamme dell’inferno che lo perseguitavano. Little Richard fece di più: in cima al successo mondiale, mentre stava recandosi in Australia a fare dei concerti, ebbe una visione demoniaca, l’apocalisse e la vergogna della sua dannazione. Aveva infatti un problema in più, era gay, oltre ad amare il rock’n’roll. Più prosaicamente, era scoppiato un incendio a bordo e davanti alla morte imminente pregò Dio di salvarlo e venne accontentato. Davanti al porto di Sidney getta in mare tutti i suoi gioielli e decide di diventare un predicatore. Sparisce dalla scena musicale per anni, diventando un devoto cristiano che porta in giro la parola di Dio. Tornerà alla musica rock una decina di anni dopo, ma il grande momento è svanito per sempre, anche se senza di lui non sarebbero esistiti Beatles, Stones, Springsteen e Bob Dylan, tutti fan ispirati a suonare da canzoni micidiali come Long Tall Sally, Ready Teddy, Rip it up, Good Golly Miss Molly, Jenny Jenny. Il più puro e selvaggio rock’n’roll davanti al quale anche il punk impallidisce.

Da allora tra ritorni alla fede e partecipazioni a concerti nostalgia Little Richard è vissuto fino a oggi con la sua spavalda arroganza che gli faceva terrorizzare i presentatori tv mentre urlava IO SONO IL RE DEL ROCK’N’ROLL, indossando mantelli, fronzoli penzolanti, costumi a specchietti e un orribile fondo tinta compatto. È sopravvissuto fino a oggi come una icona di uno dei momenti più eccitanti e selvaggi della storia del Novecento, legata a quel momento e incapace di staccarsene.


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