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Home » Cronaca » Svezia ammette fallimento in protezione anziani/ Gravi lacune sanitarie negli ospizi

  • Cronaca

Svezia ammette fallimento in protezione anziani/ Gravi lacune sanitarie negli ospizi

Claudio Franceschini
Pubblicato 10 Maggio 2020
Sofia di Svezia Coronavirus

La principessa Sofia di Svezia aiuta durante l'emergenza Coronavirus (Foto LaPresse)

La Svezia ammette il fallimento nella cura degli anziani: dati allarmanti sulle case di riposo, è stata aperta un'indagine preliminare circa le misure protettive e la posizione dello staff.

“Abbiamo fallito nel proteggere i nostri anziani: è una cosa seria, e un fallimento per l’intera società. Dobbiamo imparare da questo, non abbiamo ancora finito con questa pandemia”. Le parole sono di Lena Hellengren, il ministro della Salute e gli Affari Sociali in Svezia: affermazioni forti che ammettono come il Paese scandinavo abbia mancato in quello che, teoricamente, sarebbe stato prioritario. La lotta al Coronavirus avrebbe dovuto riguardare soprattutto gli Over 70, eppure il 90% dei morti (il dato fa riferimento al 28 aprile) aveva già superato quell’età; di questi, la metà era ricoverata in case di riposo e un altro quarto riceveva cure in casa, come affermano le statistiche della Commissione Svedese di Salute e Benessere. Il vaso di Pandora è stato idealmente scoperchiato dal racconto di Bjorn Brannagard, che ha rivelato ad AFP come la madre sia morta in una casa di riposo per la mancanza di adeguate cure. “Non hanno avuto tempo per farlo” ha detto.


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La madre di Bjorn è risultata negativa al test per Coronavirus due giorni dopo la sua morte, ma il signor Brannagard ha parlato espressamente di negligenza da parte del personale dell’ospizio: mancanza di materiale protettivo e dunque diffusione del virus all’interno della struttura. L’accusa è grave, e si lega espressamente ad altri temi che riguardano il modo in cui la nazione ha affrontato la pandemia: come sappiamo in Svezia scuole, bar e ristoranti sono rimasti aperti anche in presenza delle adeguate misure restrittive (come il distanziamento sociale), per quanto riguarda le case di riposo è solo dal 31 marzo che sono state proibite le visite. A riguardo di questo tema, le notizie che si leggono su AFP rivelano che negli ospizi la mancanza di materiale protettivo per gli operatori sanitari erano reali, ma che nonostante questo il personale è stato incoraggiato a continuare a recarsi presso il posto di lavoro, con il consiglio di restare a casa – al contrario – anche in presenza di sintomi lievi.


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SVEZIA: FALLIMENTO NELLA CURA DEGLI ANZIANI

Questo però ha lasciato lo staff delle case di riposo decimate, anche perché qualcuno si è rifiutato di andare a lavorare in quelle condizioni; chi non l’ha fatto ha contribuito alla diffusione del virus, visto che c’è stata l’ammissione da parte di alcuni di essersi recati al lavoro con sintomi da Coronavirus. Non solo: alcuni pazienti, portati in ospedale e lì infettatosi, è stato nuovamente ammesso in casa di riposo peggiorando ancor più la situazione. Ci sono però altre accuse e dati: le autorità sanitarie della regione di Stoccolma hanno confermato come il 55% delle case riposo abbia avuto contagi da Coronavirus, mentre Kommunal (la più larga associazione di impiegati municipali in Svezia, inclusi molti operatori sanitari) ha rivelato che a marzo almeno il 40% del personale negli ospizi di Stoccolma era impreparato e assunto con contratti a tempo determinato, con pagamento a ore e nessuna assicurazione sul lavoro. Il 23% invece era staff temporaneo.


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Ecco perché alla fine del mese di aprile Kommunal ha presentato un reclamo ufficiale all’Autorità Svedese per gli Ambienti di Lavoro, basato su un dato allarmante: 27 dei 96 pazienti della clinica in cui era ricoverata la madre di Bjorn Brannagard sono morti di Coronavirus, eppure lo staff sta ancora lavorando senza materiale protettivo e non ha la possibilità di effettuare i test per verificare il contagio. Le autorità stanno studiando tale reclamo ma nel frattempo è stata aperta un’indagine preliminare; il quadro si aggrava con il racconto di Abdullah (uno pseudonimo), un rifugiato 21enne che ha lavorato per due anni in quella casa di riposo e ha detto ad AFP che una signora ricoverata in ospedale per una gamba rotta è tornata nella struttura ed era malata di Coronavirus; “lavorando con lei indossavamo dei grembiuli protettivi ma non avevamo mascherine”.


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