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Home » Esteri » KAZAKISTAN/ Potere in cambio di pace sociale: l’esperimento-Tokayev

  • Esteri
  • Cina
  • Russia

KAZAKISTAN/ Potere in cambio di pace sociale: l’esperimento-Tokayev

Edoardo Canetta
Pubblicato 23 Novembre 2022
Papa Francesco in Kazakistan insieme al presidente Tokayev (LaPresse)

Papa Francesco in Kazakistan insieme al presidente Tokayev (LaPresse)

Alle presidenziali in Kazakistan è stato rieletto il presidente uscente, Jomart Tokayev, con l'81% dei consensi. Ha saputo garantire ordine evitando i conflitti

Ha vinto lui, era scontato, eppure non si può dire che nella Repubblica del Kazakistan non c’è nulla di nuovo. Ha vinto Jomart Tokayev, il presidente “uscente” che infatti non è uscito. Del resto come poteva uscire, se ha avuto l’81,31% dei voti mentre chi ha avuto più voti tra i suoi cinque concorrenti, Zhigult Dayrabaev, ha ottenuto il 3,42%?


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Una grande novità è stata poi la possibilità, credo unica al mondo, di segnare sulla scheda una croce non su uno dei candidati, ma sulla casella a cui corrispondeva la scritta “contro tutti”. Questo “non-candidato” ha comunque ottenuto il 5,8% dei consensi. Pensate se questa possibilità fosse stata data agli italiani!


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Gli osservatori del gruppo Csto (Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva) hanno registrato la regolarità delle elezioni. La stessa cosa, per la verità, è stata confermata da quelli dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), che pure ha sottolineato, ovviamente, la mancanza di veri competitors del presidente “non uscito”.

In verità un presidente “uscito” c’è stato, da alcuni mesi: il vecchio, primo presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev. Dopo le dimostrazioni di gennaio si è dovuto fare da parte lasciando il potere a Tokayev, che in questo periodo ha operato un processo non violento, ma deciso di “Denazarbayerizzazione” del Paese.


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Oltre all’atto istituzionale più rilevante, la riforma della Costituzione, che prevede, fra l’altro, un certo ridimensionamento del potere del presidente, ha cominciato a ridimensionare radicalmente gli elementi del culto della personalità nei confronti del vecchio primo presidente. Così la capitale ha ripreso la denominazione di Astana (che in kazaco significa qualcosa tipo “capitale”) dopo che da qualche mese aveva assunto il nome di Nursultan, il nome del presidente (in un certo senso come se Roma assumesse il nome di Sergio ecc.).

Del resto proprio lo stesso Nazarbayev aveva più volte affermato, anche per difendersi dalle critiche, che nel Paese era ancora in corso un processo (io dico lento) di democratizzazione.

Il successo di Tokayev, che naturalmente non può non fare storcere il naso a molti osservatori occidentali, può essere spiegato dal consenso al progetto del partito dominante Otan (che significa “patria”) che fin dall’inizio si è presentato come interetnico e interreligioso, in un Paese dove le oltre 120 etnie presenti, oltre a quella kazaka di poco maggioritaria, fin dall’inizio dell’indipendenza della Repubblica, potevano dare origine a conflitti sanguinosi come sta succedendo in altre aree del mondo.

Del resto un popolo abituato da molti anni all’esistenza di un unico partito, quello comunista, un popolo che nel maggio del 1991 votò con una maggioranza di oltre il 90% per continuare ad appartenere all’Unione Sovietica, ha ritenuto quasi una cosa scontata lasciare in cambio di una certa libertà di impresa e di culto il potere a chi in qualche modo potesse garantire la pace sociale. Certo non è mancata la corruzione, come in tanti altri Paesi del mondo. Neppure una forte forma di autoritarismo, figlio naturale dell’“educazione sovietica”.

Del resto la fine dell’Unione Sovietica non è avvenuta in seguito ad una lotta, anche solo politica, di liberazione. Le repubbliche si sono trovate indipendenti senza quasi volerlo, con problemi drammatici di gestione di un Paese in crisi totale, dove non c’era tempo e voglia di pensare alla democrazia.

D’altra parte non è pensabile un pluripartitismo che non sia fondato – in questo caso – su personalismi o su pericolosi regionalismi.

La costituzione poi proibisce che si facciano partiti su base etnica o religiosa, cosa che porterebbe facilmente a conseguenze che nessuno, o quasi, si augura.

È interessante notare che durante la campagna elettorale era proibito che i candidati si insultassero. Ognuno era autorizzato a presentare semplicemente se stesso e i propri programmi. Così si sono evidentemente evitate le accuse di corruzione che sono alla base del confronto dei candidati in molti Paesi.

Personalmente penso che nella situazione del Kazakistan, e non solo lì, più che l’esistenza di nuovi partiti, tendenzialmente legati a centri stranieri, sia necessario che sorgano nuove personalità umane e politiche, che prendendo solo il meglio della nostra tradizione democratica occidentale, siano in grado di conservare quelle tradizioni del popolo da cui anche noi avremmo da imparare.

Un’ultima osservazione molto importante, che riguarda il ruolo del Kazakistan nella politica estera. Non tutti hanno osservato in un modo adeguato il fatto che il 14 settembre, il giorno dopo che era arrivato papa Francesco ad Astana, di passaggio verso il Meeting di Samarcanda, il leader cinese Xi Jinping è venuto ad assicurare gli amici kazaki che in futuro “la Repubblica Popolare Cinese garantirà l’integrità territoriale del Kazakistan”. Fino ad oggi era la Russia che si era impegnata a proteggere il Paese dalla Cina, ora sembra che le parti si siano invertite.

Questa è una novità politica non di poco conto, se si tiene conto dell’importanza strategica del Kazakistan in Asia Centrale…

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Tags: Xi Jinping

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