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Home » Educazione » Università » CONSIGLI NON RICHIESTI/ Come cambiare in meglio i master universitari

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CONSIGLI NON RICHIESTI/ Come cambiare in meglio i master universitari

Luca Brambilla
Pubblicato 27 Agosto 2023
universita_studenti_laureati_master_lezione_lapresse_2016

(LaPresse)

I master universitari rischiano di diventare sempre più dei corsi di base per accedere poi a stage importanti per alcune professioni

Oggi vorrei parlare di un argomento legato al tema della formazione, ovvero i Master di I e II livello. Sono master pensati per coloro che hanno già una laurea triennale o magistrale e che hanno come scopo quello di far specializzare il laureato in un certo settore.

Sono sempre stato abbastanza critico nei confronti di questi master perché sono play to pay, dove si paga spesso fino a 15.000 euro e dove il partecipante è interessato ai contenuti nuovi solo in minima parte rispetto a quanto sia interessato alla possibilità di accedere al mondo del lavoro entrando in aziende, organizzazioni, ecc., attraverso uno stage curriculare.


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Qual è la tendenza attuale? Se fino a qualche anno fa questi master, anche se magari non rappresentavano una scelta tattica eccezionale, rimanevano ragionevoli, adesso si stanno trasformando in master quasi obbligatori per chi vuole accedere a determinate professioni. Quindi, sembrano non essere più master di specializzazione ma percorsi di base. Ciò è dovuto al fatto che i corsi universitari sono rimasti, nella maggior parte dei casi, indietro rispetto alle esigenze del mercato e questo ha fatto sì che, se prima i master di I e II livello fossero corsi per specializzarsi, adesso siano corsi introduttivi in quanto negli anni universitari determinati argomenti non vengono toccati. Significa, quindi, che chi vuole andare a lavorare in un certo campo debba prima affrontare cinque anni di università e poi frequentare un master per avere competenze minime affinché riescano a immettersi nel mondo del lavoro accettando uno stage.


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Per invertire una simile tendenza, qualcosa può essere fatto dai singoli docenti; altre azioni, invece, sono più importanti e strutturali.

Noi, in qualità di docenti, ci siamo messi a disposizione per andare a insegnare nelle università nei primi anni; penso – ad esempio – a un corso di negoziazione che tengo organizzato in co-brand tra università Vita-Salute San Raffaele e quella di Bergamo cosicché almeno gli studenti di quella facoltà abbiano un domani la possibilità di studiare a un livello più avanzato se vorranno andare a lavorare nel mondo istituzionale e diplomatico. Tuttavia, questa è solo una goccia nel mare.


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La vera operazione importante, però, sarebbe ridefinire i piani didattici universitari dando meno crediti a certi corsi storici che rischiano di diventare obsoleti e introdurre più corsi da meno ore, ma che diano della basi fondamentali per il futuro. L’ostacolo maggior a fare questo, a parte la burocrazia, è la resistenza intellettuale legata a logiche di potere di tanti professori che non vogliono cedere ore di docenze a nuovi docenti, siano questi ordinari, associati o a contratto. Questo fa sì che ci sia una battaglia interna che frena la rivoluzione che dovrebbe portare nuova linfa e nuove idee. Se si potessero ripensare fin dall’inizio i corsi, si potrebbe elevare anche tutto ciò che c’è dopo. I master potrebbero tornare a essere di approfondimento e non introduttivi.

Il cambiamento, a volte, è indispensabile e la staticità del mondo universitario, che si è aggiornato solo minimamente rispetto al passato, è una sconfitta per tutti.

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Tags: Formazione lavoro

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