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Home » Food » DENTRO LA CRISI/ Non si ferma l’emorragia: in un decennio persi 20.000 bar

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DENTRO LA CRISI/ Non si ferma l’emorragia: in un decennio persi 20.000 bar

Manuela Falchero
Pubblicato 6 Novembre 2023
Lapresse

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Il tasso di sopravvivenza degli esercizi a cinque anni continua a essere basso e il saldo con le nuove aperture si conferma negativo

I numeri emersi durante la tavola rotonda “Rilanciamo il bar”, organizzata da FIPE-Confcommercio in occasione di HOST, la fiera mondiale dedicata al mondo dell’accoglienza e della ristorazione recentemente tenutasi a Milano, non suggeriscono molto di buono. Il tasso di sopravvivenza dei bar in Italia continua a rimanere basso: dopo cinque anni, solo uno su due riesce a restare sul mercato. Un fenomeno preoccupante, che può essere ricondotto a due principali motivazioni: da una parte, c’è la trasmigrazione verso codici di attività più vicini alla ristorazione così da ampliare l’offerta; dall’altra la definitiva cessazione di un numero elevato di attività: dal 2012 a oggi, infatti, il numero delle imprese che svolgono attività di bar nel nostro Paese è diminuito di ben 20.000 unità.


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Si tratta di un trend – nota FIPE – che non accenna ad attenuarsi, come dimostrano anche i numeri rilevati durante il primo semestre del 2023, quando le imprese che hanno avviato l’attività sono state 1.132 e quelle che l’hanno cessata 1.838, con un saldo negativo di 706 unità.

I numeri, insomma, certificano una fase non facile per il tradizionale format del bar, dietro al quale – è bene ricordarlo – si muove una filiera che sviluppa un valore di 23 miliardi di euro e impiega 300.000 persone tra indipendenti e dipendenti. E di quest’ultimi, va considerato che ben il 59% è assunto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato e il 60% è rappresentato dalla componente femminile.


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Si tratta, dunque, di un comparto significativo che però mostra il fianco. Ma perché? Gli esperti puntano il dito soprattutto contro la crisi pandemica e quella energetica, due fenomeni che, in rapida successione, hanno impattato sul business e che ora impongono un profondo ripensamento dei modelli organizzativi del bar, alla ricerca di una più efficiente combinazione tra impiego del lavoro e orari di apertura. La questione non è però di semplice soluzione. Da un lato, si deve considerare che questi esercizi sono per lo più operativi sette giorni su sette, per una media di quattordici ore giornaliere, ma non mancano i modelli h24. Dall’altro, si deve tenere conto che il modello tradizionale è chiamato a confrontarsi con una forte evoluzione dei modelli di consumo, spinta dallo sviluppo congiunto dello smart working e dall’innovazione digitale, due fenomeni che stanno ridisegnando i flussi di clientela dentro le città. E spingendo il bar alla ricerca di una nuova dimensione adattativa: prova ne sia il fatto che, a fianco del tradizionale format specializzato nella colazione, si stanno facendo largo nuove formule focalizzate sul pranzo come pure anche sulla sera.


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“Quello dei bar – commenta Sergio Paolantoni, Presidente di FIPE-Confcommercio Roma e del Gruppo Palombini -, è un settore che ben si presta a una duplice chiave di lettura: è al tempo stesso dinamico, grazie alla sua vitalità imprenditoriale, ma è anche fragile, per via della forte pressione competitiva a cui è esposto. Fare fatturato con uno scontrino medio di appena 4 euro è sempre più difficile mentre i costi continuano a correre. Oggi più che mai è dunque urgente ripensare i modelli organizzativi per assicurarci da qui in avanti una maggiore sostenibilità del business e maggiori prospettive di sopravvivenza del format icona dello stile di vita italiano”.

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