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Home » Hi-Tech » DUROV/ La quarta “guerra crypto” che ha messo Telegram nel mirino di alcuni governi

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DUROV/ La quarta “guerra crypto” che ha messo Telegram nel mirino di alcuni governi

Achille Paliotta
Pubblicato 1 Settembre 2024
Il logo di Telegram (Ansa)

Il logo di Telegram (Ansa)

Ecco perché il design programmatico di Telegram ha messo la creatura di Durov al centro dell'ultima guerra per il controllo delle informazioni

L’arresto in Francia di Pavel Valeryevich Durov, co-fondatore e amministratore delegato di Telegram, segna una svolta significativa nel dibattito in corso sulla libertà di parola, sulla moderazione dei contenuti nelle piattaforme dei social networks ma soprattutto sull’utilizzo della cifratura di massa.

Alcuni dati di contesto, già di pubblico dominio. Come tutti ben sanno, Durov fonda Telegram nel 2013, dopo il suo abbandono di VKontakte, il più grande sito russo di social network che aveva creato nel 2006. L’esperienza a VKontakte, in particolare la sua resistenza alle pressioni del governo russo il quale voleva ottenere i dati degli utenti, hanno senz’altro influenzato, in modo significativo, la sua visione del mondo. In tal modo trova spiegazione il susseguente design di Telegram basato su una forte attenzione alla privacy, alla sicurezza crittografica e alla resistenza alla censura. Nel corso degli anni, questo impegno ha attirato una larga base di utenti molto diversificata, tra cui attivisti, giornalisti e persone che vivendo sotto regimi autoritari cercano una piattaforma che possa proteggere le loro comunicazioni dalla sorveglianza governativa. Sempre per le medesime ragioni, tuttavia, Telegram è stato duramente attaccato per aver facilitato lo sfruttamento di molteplici e variegate attività criminose, oltre a quelle legate alla disinformazione, alla vendita di armi e droghe, al terrorismo jihadista ecc. Non a caso, questi sono sostanzialmente i capi di accusa che gli sono stati addebitati a Parigi, ma che gli erano stati rivolti già nel recente passato quali, solo per restare nel florilegio dello sfruttamento a sfondo sessuale, lo scambio di materiale pedopornografico, la pornografia deepfake, anche di minori, la creazione e la diffusione di revenge pornography, eccetera.


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Come già detto, tutto ciò è stato possibile grazie al design programmatico di Telegram, a cui si deve aggiungere la mancanza di una moderazione efficace dei contenuti pubblicati. Ciò ha permesso di creare un ambiente che invita e protegge i criminali, consentendo a queste attività malevoli, a dir il meno, di proliferare senza sanzioni significative.


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Le funzionalità di crittografia e le private chats costituiscono, dunque, l’aspetto chiave del successo di Telegram, in quanto forniscono agli utenti un ambiente sicuro per comunicare senza timore di intercettazioni. Ma perché la crittologia è così importante in queste vicende, tanto da aver suscitato quelle che vengono tuttora definite crypto wars?

L’ovvia risposta risiede nella nascita di Internet, del personal computer e, oggigiorno, dell’intelligenza artificiale, ovvero nella correlata “trascrizione” digitale di tutta la società, in ogni suo più minuto aspetto: la tecnologia cambia, difatti, l’intero tessuto della società, tanto che i tradizionali metodi di produzione e riproduzione sociale vengono di fatto distrutti e ricreati sotto nuove forme. La cifratura di massa è inestricabilmente connessa, pertanto, alla privacy on-line sin dalla nascita della stessa Internet, poiché la tecnica crittologica rimane il modo migliore per garantirla. Essa è, di fatto, per utilizzare una definizione ampia e indefinita, la “science of communication secrecy”.


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Per questa ragione l’arresto di Durov può essere considerato come l’ultimo episodio di una serie di crypto wars. La prima può essere fatta risalire al 1991, quando Philip R. Zimmermann, un computer scientist, scrisse il programma Pretty Good Privacy (PGP) e lo rese disponibile (insieme al codice sorgente) tramite FTP pubblico per il download. Il programma messo a punto da Zimmermann implementava la crittografia a chiave pubblica, scoperta anni addietro (1974) dai crittologi Bailey Whitfield Diffie e Martin Edward Hellman, insieme a Ralph C. Merkle ma resa operativa, in un secondo momento, da Ronald Linn Rivest, Adi Shamir e Leonard Adleman (RSA).

La seconda crypto war può essere considerata quella legata al caso delle rivelazioni di Edward Joseph Snowden, nel 2013, e la terza al caso Federal Bureau of Investigation (FBI) vs. Apple, a seguito della strage di San Bernardino, nel 2016. La quarta e ultima, di fatto, potrebbe essere considerata l’attuale arresto di Durov.

In termini assai generali, il dibattito sul diritto di utilizzare appieno la crittologia nelle applicazioni digitali, tuttora ininterrotto, è da sempre una battaglia in corso tra opposte visioni su come si sia sin qui sviluppato il web e su come debba continuare a farlo. In questa contesa, le agenzie governative cercano di utilizzare tutte le leve in loro possesso per poter supportare le legittime esigenze relative alla sicurezza nazionale. Dall’altro lato, i libertari fautori del free speech si concentrano intorno a due temi principali: in primo luogo, essi sostengono che gli enti governativi, aiutati in ciò dalle Tech Giants, raccolgono e collegano tra loro tutti i tipi di informazioni, sensibili o meno, realizzando in effetti una sorta di dossier society. In secondo luogo, le forze dell’ordine e le agenzie governative lavorano continuamente, attraverso la reiterata emanazione di atti e normative ad hoc, affinché l’attuale infrastruttura digitale possa essere sempre permeabile alle intercettazioni e alla sorveglianza di massa, a maggior ragione in tempi di guerre ibride, di cyberattacchi e di operazioni informazionali.

Queste opposte e agguerrite visioni, peraltro oramai ampiamente sedimentate in larga parte del corpo sociale a livello di consapevolezza diffusa, vale a dire tra spinte libertarie ed esigenze governative e commerciali di sorveglianza elettronica, rappresentano, nondimeno, l’assunto precipuo che la crittologia continuerà a giocare ancora un ruolo preminente nel modo in cui il conflitto, tra privatezza personale e controllo sociale, si sta dispiegando nell’attuale warfare digitale, e in quello prossimo venturo.

In definitiva, questo caso permette di riflettere assai bene su come la forte enfasi di Telegram sulla privacy e sulla crittografia, le quali ben si allineano con la difesa della libertà individuale e del free speech, crei un forte dilemma etico. Se, da un lato, queste caratteristiche proteggono gli utenti dalla sorveglianza di massa, commerciale e governativa, dall’altro possono essere sfruttate da soggetti malevoli, causando danni sociali non pienamente misurabili. In tutto ciò, seppur la libertà di parola deve continuare a rappresentare un aspetto essenziale, essa deve pur essere bilanciata con la responsabilità di dover prevenire le attività criminose. Ciò significa introdurre pratiche di moderazione dei contenuti più proattive sui social networks e, quanto a Telegram, in particolare nei casi in cui il discorso inciti alla violenza, al terrorismo, allo sfruttamento sessuale dei minori o diffonda disinformazione, psy-ops e attività criminose.

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