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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Quel “patto” tra russi e americani sotto le ali del gufo pescatore di Blakiston

  • Letture e Recensioni
  • Cultura

LETTURE/ Quel “patto” tra russi e americani sotto le ali del gufo pescatore di Blakiston

Alberto Trevissoi
Pubblicato 24 Novembre 2024
Un gufo pescatore di Blakiston (foto di Tokumi da Wikipedia)

Un gufo pescatore di Blakiston (foto di Tokumi da Wikipedia)

“I gufi dei ghiacci orientali” di Jonathan C. Slaght entra di diritto nella “top five” della grande letteratura naturalistica di tutti i tempi

Appassionante come un romanzo di Dostoevskij, preciso come un trattato di Darwin, ironico come il miglior Wodehouse. Cosa si può chiedere di più a un libro? I gufi dei ghiacci orientali di Jonathan C. Slaght, che Iperborea ha lodevolmente tradotto e appena pubblicato, è tutto questo e di più, perché anche ci avverte in modo scorrevole ed empatico sui disastri della colonizzazione umana del territorio e del cambiamento climatico. Attenzione, non è un testo per specialisti, è una storia vera di avventure alla Jack London tra esseri umani, animali e natura ostica, in cui chiunque di noi si immedesima col fiato sospeso per le sorti dei protagonisti.


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Innanzitutto: il protagonista principale. Il gufo pescatore di Blakiston, il rapace notturno più grande del mondo, con un’apertura alare di due metri, ma anche uno dei più sconosciuti ed elusivi. Ne sopravvivono alcune centinaia di coppie, disperse in un territorio enorme tra la Siberia nordorientale, l’isola giapponese di Hokkaido e alcuni remoti monti cinesi. Si ciba esclusivamente di salmoni, che caccia in modo spettacolare gettandosi di notte con gli artigli nei fiumi, e ogni tanto di enormi rane, che stana rovesciando i sassi del greto dove passano il loro letargo invernale. Fa il nido a molti metri di altezza su grandi cavità di alberi centenari, sempre più minacciati dall’industria del legname, che anche lassù ai confini del mondo apre strade nei boschi con i bulldozer e abbatte intere foreste fluviali. La sua voce strana e misteriosa, una specie di bassissimo e breve suono di clacson bitonale che femmina e maschio cantano in duetto sincronizzato, è quello con le frequenze più basse in tutto il mondo degli uccelli.


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L’americano Slaght e alcuni colleghi russi lo hanno cercato, individuato, studiato nella sua biologia ed etologia dal 2006 ad oggi, con l’obiettivo di delineare una strategia di conservazione che innanzitutto cerchi di preservare il loro territorio vitale dall’avanzata dell’industria e dalle sciagure causate dal cambiamento climatico, come il tifone che nel 2016, anche a quelle latitudine nordiche, ha distrutto migliaia di chilometri quadrati di aree protette. Slaght ci racconta le loro avventure, anno dopo anno, spesso tragicomiche, in una natura in cui “l’esistenza era ancora regolata da dicotomie primordiali: fame o sazietà, ghiaccio o acqua, vita o morte. Bastava una minima deviazione, e il passaggio da una condizione all’altra era repentino”. Le bevute di vodka sono epiche, perché imposte dall’ospitalità dei pochi abitanti del luogo a volte incontrati, e aiutano a sopportare i trenta gradi sottozero invernali in tenda o altri ricoveri di fortuna. Peccato che la vodka sia spesso alcol etilico e basta, o peggio ancora detergente chimico alcolico. Molto più modestamente, mi sono venute in mente le emozionanti ricerche delle sparute coppie di gufo reale nell’Appennino emiliano-romagnolo che facevamo tanti anni fa con mio cugino Lorenzo Rigacci, biologo e studioso della grande fauna selvatica, in cui alcune vecchie bustine del superalcolico Cordiale dell’esercito ci sostenevano nelle gelide notti invernali.


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Alcuni dei compagni di Slaght sono personaggi memorabili. Come l’atletico tuttofare Surik, che scala senza scarpe tronchi altissimi, meglio di qualsiasi arrampicatore da gara, per controllare eventuali nidi di gufo. O come Katkov, ottimo ricercatore sul campo ma dalla chiacchiera inesauribile e dal russare clamoroso, che negli appostamenti notturni lo rendono insopportabile sia da dormiente che da sveglio.

Alla fine, il progetto di Slaght ci lascia delle speranze, non solo per il colossale, arruffato e simpatico gufo pescatore di Blakiston, ma per tutta la tutela ambientale, grazie ai finanziamenti ottenuti e alla collaborazione – sembra incredibile nel mondo odierno – che in questo campo specifico si è instaurata tra enti americani, russi e internazionali. E soprattutto, pensiamo, grazie all’eco mondiale di questo libro, che entra di diritto in una “top five” della grande letteratura naturalistica di tutti i tempi, insieme a Il falco pellegrino di Baker, L’anello di acque lucenti di Maxwell, Criniere dorate zoccoli volanti di Schaller, La pantera delle nevi di Tesson.

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