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Home » Politica » 30 ANNI/ Da Almirante a Fini poi Meloni, la svolta (vera) di Fiuggi vista da chi c’era

  • Politica

30 ANNI/ Da Almirante a Fini poi Meloni, la svolta (vera) di Fiuggi vista da chi c’era

Marco Zacchera
Pubblicato 29 Gennaio 2025
Gianfranco Fini sul palco di Fiuggi il 27 gennaio 1995. A d., Pino Tatarella e Ignazio la Russa (Ansa)

Gianfranco Fini sul palco di Fiuggi il 27 gennaio 1995. A d., Pino Tatarella e Ignazio la Russa (Ansa)

Trent’anni fa, a Fiuggi, il vecchio MSI diventava Alleanza Nazionale. Un svolta per la destra. L’evento raccontato dal segretario del congresso

Trent’anni fa, a Fiuggi, nasceva Alleanza Nazionale e paradossalmente ci sono voluti trent’anni perché giungesse a compimento quel processo politico che ha portato oggi la destra italiana non solo al governo, ma ad essere riconosciuta come forza pienamente legittimata anche a livello internazionale. Eppure ancora in questi giorni – vedi i commenti alle dichiarazioni della Meloni sulla Shoah – ogni frase o dichiarazione viene ancora passata al microscopio da quei “Gendarmi della Memoria” (come li chiamava Giampaolo Pansa) che si sono auto-attribuiti il “diritto” di stabilire i colpevoli di leso antifascismo.


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Fiuggi fu un passaggio fondamentale, ma per verità già dal 1946 – quando fu fondato il Movimento Sociale Italiano – questa evoluzione era stata accettata come prospettiva politica. Quel “Non rinnegare, non restaurare” degli inizi e l’accettazione senza riserve dei principi democratici e parlamentari (oltre che la convinta adesione alla NATO, che pur rappresentava gli “ex nemici”) erano una chiara scelta di campo.


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Fu però un lungo viaggio di cinquant’anni di emarginazione in un deserto politico paradossalmente reso ben più difficile non da resistenze interne, ma piuttosto proprio da quell’“arco costituzionale” che era comunque riuscito a tenere emarginata una forza politica che, pur nel sistema elettorale proporzionale, contava poco (anche se il MSI-DN era stabilmente il quarto partito italiano) ma che così evitava alla DC ogni tentazione di scegliere alleati a destra. Quando vi furono tentennamenti (come con il governo Tambroni, che nel 1960 era di fatto sostenuto dai voti missini) la piazza antifascista e socialcomunista stroncò sul nascere e con la violenza ogni compromesso.


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Con il sistema elettorale maggioritario tutto cambiò, ogni voto “contava” e fu Silvio Berlusconi a rompere gli schemi, ma con Gianfranco Fini (“lanciato” quattro anni prima da Giorgio Almirante) a dare un volto giovane e credibile al rinnovamento politico e generazionale del MSI.

Il referendum elettorale del 1992 fu infatti uno strappo improvviso, unico, impensabile, e nel giro di pochi mesi trasformò rapidamente la politica italiana che intanto – sotto le ondate di “Mani pulite” – vedeva frantumarsi e sparire la DC, i socialisti e i gruppi minori, “salvando” però il PCI (che stava vivendo a sinistra un’evoluzione per molti versi analoga a quella missina, anche per l’avvenuto collasso dell’URSS) di cui si coprirono le tracce su finanziamenti e collusioni spesso legate proprio ai rapporti con Mosca.

Dietro le quinte – chi scrive ebbe l’onore e l’onere di organizzare personalmente il congresso di Fiuggi e di aprirlo come segretario generale – furono mesi impegnativi, anche se la credibilità di Fini all’interno del partito (oltre che al progressivo successo esterno) fece superare molte delle perplessità che animavano quegli iscritti che temevano il salto nel buio. Alla fine solo un gruppo di irriducibili si staccò, creando un gruppo autonomo “nostalgico”, mentre l’adesione alle “Tesi di Fiuggi” fu convintamente approvata dalla stragrande maggioranza degli iscritti. Una scelta anticipata da quella parte di opinione pubblica che intanto aveva scoperto la destra prima nel voto romano (Fini arrivò nel novembre 1993 al ballottaggio alle “comunali” capitoline contro Rutelli raccogliendo il 47% dei voti) e l’anno successivo concretizzandosi nel voto politico dove il centrodestra si presentò nei collegi con due alleanze variabili (Forza Italia e Lega Nord da sole nell’Italia Settentrionale, FI e Alleanza Nazionale unite nei collegi al Centro-Sud).

Al Nord la neonata AN raccolse così molti voti, ma non elesse quasi nessuno (in Piemonte, per esempio, fummo eletti solo in due deputati), ma l’opposto avvenne nel Sud, facendo complessivamente deragliare la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto (che guidava il fronte della sinistra) e ne uscì – con l’aperta contrarietà del presidente Oscar Luigi Scalfaro – il primo governo Berlusconi, con Forza Italia primo partito e quattro ministri di AN.

Vice premier e vero regista politico dell’operazione fu l’esponente barese missino Pinuccio Tatarella (che se non fosse scomparso anzitempo non avrebbe forse mai permesso a Fini di “sbandare” mettendosi anni dopo contro Berlusconi) affiancato da un gruppo di “pensatori” di qualità.

Le elezioni del ’94 precedettero Fiuggi e il congresso fu un lavoro organizzativo enorme, raccogliendo quasi 4mila delegati che sotto gli occhi delle tv di mezzo mondo, in un lungo weekend, votarono a grandissima maggioranza prima lo scioglimento del MSI-DN e poi la nascita di AN, tra lo scetticismo preconcetto di quasi tutti i media e il quotidiano esame del sangue di antifascismo. D’altronde se ancora oggi c’è chi vede in Giorgia Meloni un potenziale rischio democratico, immaginatevi cosa non era stato per Fiuggi, dove le parole di ogni delegato erano vivisezionate dalla gran parte dei media per poter dimostrare come il cambiamento fosse solo di facciata, ma non convinto e credibile.

Non era così e d’altronde a rileggere oggi le “Tesi di Fiuggi” c’è già tutto o quasi del Dna dell’attuale governo, con intuizioni programmatiche coraggiose e lungimiranti sull’evolversi della successiva situazione politica europea e mondiale. Temi come immigrazione, denatalità, Europa (anche se l’euro non c’era ancora) erano state preparati con attenzione e serietà.

Fu quindi un congresso vero e non di plastica, soprattutto intessuto di sentimento, perché per molti iscritti al MSI quel loro piccolo partito era una questione di fede, di anima, simbolo di anni di emarginazione e di orgogliosa diversità rispetto agli avversari. Oggi abbiamo la conferma che fu una scelta di campo e per chi come me l’ha vissuta in prima persona, si può dire che fu non solo una scelta giusta, ma lungimirante e coraggiosa.

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Tags: Gianfranco FiniGiorgia MeloniSilvio BerlusconiForza ItaliaGoverno Meloni

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