Mercoledì è stato presentato il Piano d'azione europeo sull'auto, un settore che nell'Ue appare in forte crisi
Mercoledì scorso l’Unione europea ha presentato l’Industrial Action Plan for the European automotive sector. Si tratta di un piano d’azione da 2,8 miliardi di euro per l’industria dell’automotive, frutto del “dialogo strategico” avviato a fine gennaio, che “punta a rafforzare la competitività globale dell’industria automotive europea”. In sintesi: 1,8 miliardi per sostenere lo sviluppo di una catena di fornitura sicura e competitiva per le materie prime delle batterie e il restante miliardo per veicoli e batterie connessi e autonomi.
È evidente che, dopo la lettera di Luca de Meo agli stakeholder (marzo 2024) e con i nuovi organi istituzionali operativi dopo le elezioni (giugno 2025), la Commissione non poteva che partire dal dossier dell’automotive, oltre che naturalmente da quello della crisi ucraina. È certamente un fatto positivo. Anche se, sostanzialmente, il piano per l’auto lascia intendere che a Bruxelles non ci sono le idee chiare. Ma questa non è una novità.
Intanto: se, come prevede il piano, l’orizzonte resta il full electric dal 2035 – ma chi scrive ne dubita alquanto -, le risorse stanziate paiono deboli per sostenere la trasformazione della mobilità.
Forse, in realtà, la priorità in questo momento è quella di intervenire sulle multe annunciate dal 2025 per i costruttori – qualora non raggiungessero livelli minimi di produzione di auto elettriche – che avrebbero potuto generare sanzioni per circa 15 miliardi di euro con pesanti ripercussioni su produzione e occupazione. E, in questo senso, la Commissione ha iniziato ad allentare la morsa: sono infatti previsti ancora tre anni di tempo per allinearsi agli standard produttivi.
Per quanto riguarda carburanti sintetici (richiesti dalla Germania) e biocarburanti (richiesti dall’Italia, Eni è leader mondiale), la Commissione ha rinviato queste decisioni al 2026. Per il resto, il piano prevede di stimolare la domanda delle auto elettriche e di intraprendere azioni per l’elettrificazione delle flotte aziendali.
La sensazione è che questo dialogo strategico non abbia prodotto granché. Ma la difficoltà va cercata all’interno della grande industria. Oggi i costruttori europei sono in crisi perché le auto prodotte in Giappone e in Corea, in particolare, sono sempre più competitive e mostrano i limiti delle nostre produzioni. Per non parlare delle auto cinesi che, oltre a costare molto meno, tra non molto saranno prodotte in Europa, aggirando del tutto il problema dei dazi fiscali.
Questo è il nodo sul quale l’industria europea è rimasta indietro: i suoi prodotti non sono così innovativi e costano di più.
Quando Oliver Blume, amministratore delegato di Volkswagen, dice “abbiamo tre anni di tempo per invertire il trend altrimenti chiudiamo”, intende proprio questo: l’Europa è all’ultima chiamata per innovare il suo prodotto e per renderlo competitivo sul mercato. Questa è la sua missione quasi impossibile, perché il tempo non è molto. Incredibile per chi, fino a 20 anni fa, era leader nella produzione mondiale di auto.
Twitter: @sabella_oikos
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