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Home » Economia e Finanza » Borsa e Spread » SPY FINANZA/ Gli indizi sulle ultime “manipolazioni” di mercato

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SPY FINANZA/ Gli indizi sulle ultime “manipolazioni” di mercato

Mauro Bottarelli
Pubblicato 11 Aprile 2025
Ansa

Ansa

Certe manipolazioni, se fatte in contesti di enorme stress finanziario reale, lasciano tracce molto evidenti sui mercati

Come commentare una giornata come quella di mercoledì, se non facendosi una risata? Potrei chiudere la faccenda con un classico e decisamente sgradevole ve l’avevo detto, ma sarebbe riduttivo. Perché quanto accaduto va al di là della mera pantomima, stante l’impossibilità di utilizzare un’altra definizione per la sospensione dei dazi americani per 90 giorni a meno di 72 ore dalla sdegnata bollatura di fake news della medesima decisione.


Macron e Merz a Zelensky: "Attento a tradimento Usa"/ Spiegel rivela call Ue: "Non lasciamo sola l'Ucraina"


Mi piace, prima di entrare in uno specifico un po’ tecnico, offrire un’immagine e una cifra che cristallizzano, semplificano e concentrano tutto il non sense. Questa: nella giornata di mercoledì, quella appunto dell’annuncio della Casa Bianca e del conseguente rimbalzo record degli indici Usa, questi ultimi hanno guadagnato capitalizzazione di mercato pari a quasi il 20% del Pil statunitense. Di fatto solo nelle ultime quattro ore di contrattazioni!


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Capite da soli che stiamo parlando di un casinò immorale. Che, purtroppo, detta l’agenda della politica. Piaccia o meno. Perché quale patetica scusa ha avanzato Donald Trump per cercare una sdrucciolevole giustificazione alla sua inversione a U? I cittadini si sono un po’ spaventati. Segnatevi questa frase. Mandatela a memoria o scrivetela su un post-it. Perché poi servirà per capire.

Ora veniamo al punto che possiamo definire di merito tecnico. La spiegazione di come certe manipolazioni, se fatte da principianti o in contesti di enorme stress finanziario reale, lascino tracce peggio di Pollicino. Guardate qui: quando non è artificialmente e sistematicamente mantenuto al ribasso, ma lasciato libero, poiché strumentale a certi effetti speciali, il Vix sa ancora parlare.


Putin: “Dombass sarà nostro, coi negoziati o con le armi”/ Trump accelera sulla pace: oggi round USA-Ucraina


L’indice della volatilità. L’indice della paura. Quante volte lo avrete sentito nominare nei giorni scorsi, vero? Bene, venerdì scorso ci ha raccontato di un’inversione della curva. Ovvero una prezzatura con scadenze a breve che pagano un premio su quelle più lunghe. Estremo stress, appunto. In gergo, backwardation. Nella fattispecie a 19. Sintomo che il mercato si aspettava un calo dell’indice di volatilità a quel livello a breve termine.

Calcolate che al massimo dei tonfi era volato quasi in area 70, salvo adagiarsi in area 40 prima del coup de theatre andato in scena a Pennsylvania Avenue. E tutti sappiamo – quantomeno i più affezionati lettori di questi articoli – che 20 è stato il ceiling implicito che l’abuso di futures ha garantito per interi trimestri di rally infinito. Qualunque cosa accadesse, tipo Warren Buffett che vendeva titoli come se il giorno dopo fosse previsto l’Armageddon, il Vix restava in quel range. Banda di oscillazione blindata dai derivati, appunto.

Ora guardate questo secondo grafico. Il Vix spot nella giornata di lunedì segnalava appunto 40, di fatto l’inizio di prezzatura di una recessione. Parola che nel gergo del mondo post-Lehman significa Qe in arrivo. E si sa, i titoli azionari amano il Qe. Ma vogliono qualche garanzia, prima di eccitarsi. Soprattutto in giornate come quella di mercoledì, quel del grande rimbalzo. Ma cominciata male. Con una riunione di emergenza fra Bank of Japan, ministero del Tesoro ed Ente di vigilanza e controllo dei mercati nipponici. Proseguita con uno strano fuoco di fila di banchieri centrali europei intenti, spesso senza che nessuno lo avesse chiesto, a rassicurare su quanto il sistema bancario del Vecchio continente fosse solido. Pessimo segnale.

E poi Wall Street, instradata dal tweet del Presidente: A great time to buy. Un po’ private banker, un po’ Giorgio Mastrota. Al 100% conflitto di interessi, in compenso. E siccome l’appello non è bastato, casualmente arriva il rinvio dei dazi reciproco. Restano solo quelli alla Cina. Boom! Un aumento di market cap pari al 20% del Pil statunitense in un giorno! Nel mezzo, l’esplosione del basis trade e dei rendimenti dei Treasuries. Ovvero, l’arbitraggio fra tassi dei Treasury e cash markets preferito dai fondi speculativi. Un controvalore da trilioni.

Il problema è che se cala troppo il prezzo dei bond di Zio Sam, scattano le margin calls e le liquidazioni forzate che fanno salire ancora di più quei rendimenti già mandati in altalena dalla Cina.

I cittadini si sono un po’ spaventati, appunto. Per gente, leggete hedge funds, però. Nel frattempo, però, la Cina continuava a svalutare. Ma non solo: Top China leader to meet in stimulus after Trump’s tariff shock, pubblicava all’alba di ieri Bloomberg. Perché il rinvio non vale per Pechino. Per loro, si aumenta ancora.

Un colossale contango di annunci. Ecco cosa stiamo vivendo. Una pantomima per evitare che quel basis trade facesse una strage. E la Fed la amplificasse tagliando i tassi in emergenza. Guardate quest’ultimo grafico: magicamente, gli spread di credito ieri mattina hanno trovato la pace dei sensi. Il Nirvana delle margin calls, il Valhalla del collaterale. Tutto a colpi di annunci.

E signori, un Nasdaq in doppia cifra giova certamente all’ego ipertrofico un po’ infeltrito dal candeggio della realtà come quello di Nvidia e comparto tech. Perché ok sacrificarsi, visto quanto incamerato a colpi di Gpu. Ma dopo un po’ si rischia davvero.

Ah, a proposito. Nel giorno del record, il Nasdaq ha generato una death cross. Come nel febbraio 2022. Cosa accade fino al gennaio 2023, ovvero fino al lancio del nuovo not-Qe globale?

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Tags: Donald Trump

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