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Home » Esteri » Usa » TRUMP vs HARVARD/ Due “ragioni”, una mediazione da trovare e un alleato da non perdere

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TRUMP vs HARVARD/ Due “ragioni”, una mediazione da trovare e un alleato da non perdere

Luca Pirola
Pubblicato 17 Aprile 2025
Cerimonia di laurea ad Harvard, 2023 (Ansa)

Cerimonia di laurea ad Harvard, 2023 (Ansa)

Questa volta Trump non può limitarsi a fare Trump, bastonando Harvard come se fosse Biden o una qualsiasi policy “liberal” o di sinistra. Ecco perché

Nei giorni scorsi si è aperto un nuovo capitolo dello scontro tra l’amministrazione Trump ed il mondo liberal, in particolare quello delle università. Dopo la querelle con la Columbia, accusata di antisemitismo e costretta a trattare con l’amministrazione la modifica dei suoi regolamenti per non perdere l’accesso a significativi fondi federali, l’obiettivo del governo repubblicano si è spostato sull’Università di Harvard.


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In una lettera rivolta all’accademia, l’amministrazione Trump, sotto la minaccia di ridurre o tagliare i finanziamenti federali, ha invitato Harvard non solo ad implementare nuove prassi tese ad evitare discriminazioni e aggressioni verso gli studenti ebrei o filoisraeliani, ma a realizzare significative riforme.

In particolare, viene chiesto di modificare i criteri di ammissione degli studenti e di selezione del personale, fondandoli esclusivamente sul merito, di terminare i programmi su Diversity, Equity and Inclusion (DEI), di coinvolgere auditor esterni che vigilino su procedure accademiche, di irrigidire le procedure disciplinari nei confronti degli studenti, ventilando persino la possibilità di coinvolgere auditor esterni nella selezione del personale o nella scelta dei programmi.


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Tale comunicazione ha provocato una levata di scudi da parte dell’università, che ha sottolineato come molte delle richieste del governo rappresentino indebite interferenze nei confronti dell’ateneo, tese a limitarne l’indipendenza e il diritto alla libertà di parola. Harvard ha confermato che proseguirà a contrastare l’antisemitismo e a lavorare per creare una cultura della ricerca aperta e a supportare una comunità studentesca che “esemplifichi e rispetti le differenze” pur dovendo anche rispettare le recenti sentenze che hanno affermato che l’università non può “prendere decisioni in base alla razza”.


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Questo riferimento è ad una decisione della Corte Suprema che ha dichiarato in contrasto con il Civil Rights Act quelle prassi tenute da Harvard, come da molte altre università, tese a favorire, nelle procedure di selezione, studenti, ricercatori o docenti di determinate etnie rispetto ad altre, considerate sottorappresentate all’interno della comunità accademica.

Il mondo universitario americano ha da sempre tendenze liberal e filodemocratiche, soprattutto nelle facoltà umanistiche. Già nel 2007, in un lungo saggio pubblicato proprio da due docenti di Harvard, Neil Gross e Solon Simmons, veniva evidenziato che il 45% dei docenti universitari americani si definiva “liberal” o “extremely liberal” contro un 9% che si definiva “conservative” o “very conservative”. Solo nelle discipline economiche o in campo medico il numero dei “conservative” arrivava ad essere equiparabile a quelle dei liberal, mentre nelle discipline umanistiche, dove oltre il 50% del corpo docente si definisce liberal, meno del 10% si definisce conservatore.

Sondaggi più recenti dimostrano che negli ultimi anni la predominanza della sinistra in ambito accademico è, se possibile, aumentata. La maggioranza dei docenti che si ritengono conservatori confessano di aver paura ad esternare idee politiche non in linea con la maggioranza del proprio ambiente, mentre tale paura è molto bassa tra i docenti liberal ed in un recente sondaggio solo il 20% dei docenti intervistati ha affermato che un professore conservatore si troverebbe bene nel proprio dipartimento.

È quindi comprensibile che Donald Trump voglia pareggiare i conti con un mondo che non solo non lo ha mai amato e lo ha apertamente osteggiato, ma che ha sempre guardato con disprezzo a quell’ampia fetta della popolazione che più di tutti ha sostenuto il presidente repubblicano.

Il sentiment dei “forgotten men”, di quella classe media degli Stati del Midwest e del Sud, che una volta votava democratico, ora si sente disprezzata e dimenticata dalle élite culturali, certamente non disdegna i tagli alle ricche università della costa, magari per finanziare riduzioni delle tasse o l’abbattimento del debito pubblico.

L’amministrazione repubblicana deve tuttavia muoversi con molta attenzione. Da una parte, infatti, l’accademia americana rappresenta un fiore all’occhiello per gli Stati Uniti e la capacità di attrarre talenti da tutto il mondo, di creare innovazione, di essere leader nella ricerca scientifica, tecnologica ma anche culturale e sociale ha negli ultimi 50 anni avvantaggiato gli USA nella crescita economica e nella supremazia sulle altre potenze. L’accademia è quindi un alleato che Trump non può perdere nella sfida al colosso cinese.

Dall’altra parte, l’accusa mossa dall’Università di Harvard, e da altre che la seguiranno, di limitare la libertà di pensiero ed azione è particolarmente pericolosa per un presidente ed un partito che hanno fatto della tutela alla libertà di parola un punto nevralgico del proprio programma elettorale e della propria azione.

In tutto ciò, l’opposizione democratica si fa notare solo per le divisioni. Se l’ex presidente Obama tuona in favore dell’Università di Harvard, definendo l’azione dell’amministrazione repubblicana come tesa a “soffocare la liberà accademica”, l’area più di sinistra si fa notare per il suo silenzio, ben cosciente che sarebbe difficile porsi come un partito degli ultimi ed allo stesso tempo difendere i privilegi dell’università più ricca d’America.

Vedremo se l’amministrazione repubblicana da una parte e quella accademica dall’altra sapranno smussare le proprie richieste, evitando uno scontro senza precedenti che non farà certo bene alla ricerca scientifica, alla cura degli studenti ma nemmeno agli obiettivi di crescita del Paese che Donald Trump si è dato e sta perseguendo.

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Tags: Donald Trump

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