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Home » Cinema e Tv » Film e Cinema » IL MIO GIARDINO PERSIANO/ Un film da gustare a Pasqua in cui l’amore vince l’oppressione

  • Film e Cinema
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IL MIO GIARDINO PERSIANO/ Un film da gustare a Pasqua in cui l’amore vince l’oppressione

Chiara Pajetta
Pubblicato 20 Aprile 2025
Una scena del film

Una scena del film

Nel tempo di Pasqua, il film "Il mio giardino persiano" ci mostra come nell'essere umano sia inestirpabile il desiderio di vita e di felicità

A Teheran, ma sarebbe lo stesso a Roma o a New York, la condizione di una vedova matura, con figli e nipoti lontani e gli acciacchi degli anni che si fanno sentire, è spesso segnata da una desolante solitudine e ripetitività. Ma Mahin, la protagonista del film iraniano Il mio giardino persiano è in fondo al cuore positiva e speranzosa, pur in un Paese dove le donne sole e non più giovani sono doppiamente emarginate a causa delle severe leggi islamiche.


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È decisa a ritrovare entusiasmo, tenerezza e amicizia intima, seguendo il consiglio delle amiche, che la spingono ad aprirsi all’amore. Sfidando gli sguardi indiscreti dei vicini impiccioni e i divieti che costellano la vita delle persone in Iran, da quando è diventato una rigida teocrazia, la signora, educata e gentilissima, si reca in un ristorante per pensionati, dove viene guardata con indifferenza.


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Qui scorge però il simpatico e mite tassista Faramarz, lo avvicina chiedendogli un passaggio per tornare a casa, e osa invitarlo in casa sua. Ricorda infatti che, in passato, anche per lei c’è stato un tempo felice e desidera rivivere piccoli momenti di gioia. Perché, come ha detto a una ragazza che ha salvato dalle grinfie della polizia morale, osando redarguire le guardie con decisione, “più tu accetti il loro potere, più loro ti schiacceranno”.

Inizia così un’imprevedibile, tenera e struggente serata nel suo incantevole giardino, che dà appunto il titolo al film Il mio giardino persiano. Diretto dalla coppia, anche nella vita, formata da Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, è stato presentato in concorso alla Berlinale 2024 e premiato. I due autori non hanno potuto tuttavia essere presenti, perché è stato loro negato il passaporto: una chiara ritorsione del Governo iraniano a causa del loro cinema poco allineato.


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Ma che cos’ha di così rivoluzionario questo film per mettere in allarme il regime teocratico di Teheran? A parte l’unico riferimento “politico” alla giovane che non indossa correttamente il prescritto hijab, perché le spunta una ciocca di capelli, e per di più osa incontrarsi clandestinamente con l’innamorato, forse ciò che spaventa il potere è proprio lo sguardo dei registi sul desiderio di felicità di ogni essere umano. Anche se si esprime con semplicità nella capacità di godere delle cose minime, nello sguardo affettuoso e pieno di rispetto di un uomo e di una donna avanti negli anni, ma ancora vivi, che si concedono momenti di serenità e persino di allegria.

Mangiano i gustosissimi manicaretti di Mahin, innaffiandoli generosamente con una preziosa bottiglia di vino (vietatissimo in realtà!), nascosta per le grandi occasioni, e lanciandosi nella gioia delle danze tradizionali (un tempo tranquillamente consentite). Ballano felici come due ragazzini, certi che la vita è bella quando la si condivide con generosa naturalezza.

Faramarz, che ha fatto carriera militare e ha lasciato l’esercito, ha prontamente riparato le luci del giardino rotte da tempo e ora, quasi incredulo, gode dell’armonia con l’amica, che cresce lentamente, di confidenza in confidenza, mentre assaporano le piccole tenerezze dell’esistenza come un regalo sorprendente e tanto più gradito. Le pesche, un dolce alla crema di vaniglia al profumo d’arancio, o la menta raccolta nel giardino da Mahin, soltanto perché è apprezzata dall’amico insperato.

La pellicola ci offre un delicato spaccato di vita di due anime sole, ma che in realtà per loro diventa quasi travolgente, rispetto alle giornate uguali e senza slancio che stavano attraversando da troppo tempo. E ci stupiscono il garbo, la grazia e la pacata leggerezza, non priva di sottile ironia, con cui i registi seguono i due protagonisti nell’avventura di una serata dal valore universale. Sappiamo nel nostro supponente Occidente avere occhi così sensibili e rispettosi sulle ferite di chi è abbandonato e cerca amore?

È una pellicola che può commuovere a tutte le età, perché vede due anziani che, in una notte magica, si sorprendono a vivere con stupore un’amicizia inaspettata e sono capaci di divertirsi e regalare tenerezza l’uno all’altra, ritrovando una bellezza nella vita quotidiana che sembrava negata dall’età e dall’oppressione del regime. Come a ricordarci che nulla può cancellare totalmente la possibilità di ritrovare un senso e persino la felicità nella propria esistenza.

Certo, il finale de Il mio giardino persiano, che non vogliamo svelare, può suonare beffardo per lo spettatore disabituato a guardare alla profondità del mistero della vita. Ma, pur inatteso, è comunque un tentativo di andare oltre i divieti e le ristrettezze imposte dal potere tirannico che schiaccia la società iraniana e mostra un desiderio di non arrendersi alle difficoltà, per assicurare all’altro il rispetto e la dignità che merita.

Ai cristiani, è proprio la certezza della Resurrezione di Pasqua a regalare uno sguardo davvero disponibile a superare ogni contraddizione nell’abbraccio del Padre, che dà significato a ogni momento della nostra esistenza. Sguardo che forse anche il mondo iraniano potrebbe ritrovare pienamente, liberandosi dalla rigidità oppressiva delle sue istituzioni teocratiche. Per poter gustare quella libertà e quell’amore di cui la gente di Teheran, come ogni popolo, ha un grande desiderio.

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