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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Sanmartin Fenollera e il “risveglio della signorina Prim”, come la fede cambia il nostro mondo

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LETTURE/ Sanmartin Fenollera e il “risveglio della signorina Prim”, come la fede cambia il nostro mondo

Silvia Stucchi
Pubblicato 10 Maggio 2025
(Pixabay)

(Pixabay)

Quando uscì, nel 2014, "Il risveglio della signorina Prim" di Natalia Sanmrtin Fenollera divenne un caso letterario. Oggi è sicuramente un classico

Una buona lettura, utile di questi tempi è Il risveglio della signorina Prim di Natalia Sanmartin Fenollera (traduzione di Gloria Cecchin, Ares, 2025), un romanzo insolito e che può venire letto anche in chiave allegorica: infatti, è la storia di una rinascita, o meglio, di un vero e proprio risveglio, come dice il titolo, dal sonno della ragione (che genera mostri, ricordiamolo, anche se animati da buone intenzioni), dall’abbaglio delle convenzioni e dei luoghi comuni.


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La protagonista, Prudencia, potrebbe essere definita la versione al femminile di una sorta di moderno Buddha (un nome che significa, appunto, “il risvegliato”). Quanto all’aggettivo “moderno”, bisogna però intendersi: Prudencia Prim, infatti, si muove nel romanzo nella cornice di Sant’Ireneo di Arnois, un incantevole paesino che tutto sembra fuor che moderno. Qui, infatti, il tempo sembra sospeso, e gli abitanti hanno dichiarato guerra non alla modernità tout court, quanto, piuttosto, agli inganni della modernità: per prima cosa, allo sciupio del tempo, normalmente divorato da necessità lavorative sempre incalzanti e che, invece, se le sapessimo guardare con obiettività e disincanto, non risulterebbero poi tanto cogenti e nemmeno vitali.


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A Sant’Ireneo, invece, la vita scorre secondo ritmi umani: ciò non significa che gli abitanti non lavorino, tutt’altro: la comunità è piccola, ma mirabilmente organizzata ed è tutto un fiorire di attività intellettuali e artigianali; e poi, scoperta che lascia la signorina Prim interdetta, esiste anche un circolo femminista, ancorché sui generis, le cui componenti hanno l’indiscutibile merito della libertà di giudizio.

Il concetto ben chiaro agli abitanti del paese è che è il lavoro a essere fatto per l’uomo, non l’uomo per il lavoro; e quando invece accade questo, l’esistenza diventa disumanizzante, perché toglie ogni energia e ogni momento per pensare e per conoscere se stessi e gli altri (quanto possiamo ritrovarci in queste riflessioni, noi lettori sempre pressati nel tritacarne di giornate convulse?).


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Per questo, a Sant’Ireneo sono sacri i momenti dei pasti, preparati con cura in cucine ampie e attrezzate come in un romanzo d’altri tempi, e, in particolare, sacra è la merenda per gli abitanti del paesino: lo spuntino pomeridiano, irrorato da un buon tè o dalla cioccolata, è il momento culminante delle visite di cortesia fra amici, e viene sempre particolarmente curato.

Il paese, poi, è definito una “colonia” perché, oltre ai pochi autoctoni, in esso sono arrivati transfughi che ne avevano abbastanza della contemporaneità, della società “liquida”, come si dice oggi, del postmoderno: e sono transfughi di lusso, che, per esempio, pur avendo compiuto studi di farmacia hanno deciso di aprire una scuola d’arte (per il banalissimo e di fatto logicissimo motivo che a Sant’Ireneo la farmacia già esiste, ma non esiste una scuola che insegni a dipingere e scolpire).

Per questo i problemi personali, affettivi, esistenziali degli abitanti non vengono affrontati dal singolo, in solitudine, magari in riflessioni nate a margine di giornate dalle quali si emerge come reduci stremati, nei pochi minuti prima di crollare a letto o davanti a una serie Tv. Al contrario, la comunità si prende cura dell’anima – che parola desueta, eh? – e del cuore dei propri abitanti, che si aprono con i concittadini, davanti a luculliane merende costituite da cioccolata, dolcetti, tramezzini al fois gras e così via.

A Sant’Ireneo si hanno tutte quelle comodità che rendono la vita più bella e più umana: si cuciono abiti sartoriali (ricordiamo che oltre allo slow food, esiste anche una tendenza chiamata slow fiber), fatti per durare e non riprodotti in serie infinita, dal prezzo basso come la loro qualità; vi sono negozi, riforniti da artigiani che producono oggetti di qualità; c’è una cartoleria con merci eleganti, colorate e sobrie allo stesso tempo, un negozio che tutti vorremmo avere vicino a casa nostra; e di tutto si fruisce con calma e con il giusto tempo.

In questo strano micro-eden la signorina Prim arriva rispondendo a un annuncio di lavoro: “Cercasi spirito muliebre assolutamente non sottomesso al mondo, in grado di fare la bibliotecaria per un gentiluomo e i suoi libri. Attitudine alla convivenza con cani e bambini. Meglio senza esperienza lavorativa. Astenersi se in possesso di laurea e diplomi post lauream”. L’annuncio, ovviamente, è bizzarro; senza contare che Prudencia Prim ha invece molti titoli accademici, che vanno a comporre un curriculum di tutto rispetto, anche se non ha mai avuto ambizioni di carriera universitaria.

Tuttavia, Prudencia ha una ottima motivazione per rifugiarsi a Sant’Ireneo, e viene infatti subito assunta dal “gentiluomo”, che l’autrice chiamerà sempre, per tutto il libro “l’uomo dello scranno”. Egli vive in una grande casa patrizia, un po’ vecchiotta, con un grande giardino e una grandissima, disordinata biblioteca, insieme ai nipoti, dei quali cura personalmente l’educazione, con esiti a dir poco insoliti, come scoprirà ben presto la signorina Prim, che spesso battibeccherà con grande sottigliezza e acume con il suo datore di lavoro, non solo sull’educazione dei bambini e sulle loro letture (per esempio: perché mai in casa manca un classico della letteratura per l’infanzia come Piccole donne?).

Ma gli affilati scambi di opinione vertono su tanti ambiti della vita: e sempre nell’“uomo dello scranno” Prudencia rileva una strana mescolanza di signorilità e sicumera, disposizione all’ascolto e rigidità, oltre che una forma mentis particolare, segnata da un avvenimento che ha diviso la sua esistenza in modo radicale fra un “prima” e un “dopo” (e non si tratta della morte della sorella, madre dei nipoti che egli sta educando).

Questo non può che urtare e allo stesso tempo attrarre la signorina Prim, una donna che ha in sommo grado coltivato la sensibilità, la quale è anche una delle doti maggiormente apprezzate ed esaltate nel nostro tempo. Tuttavia, pensare con la sensibilità, come spiega un passaggio del libro, e renderla la bussola delle nostre azioni, come invece tanti luoghi comuni oggi ci esortano a fare in modo un po’ acritico, ha conseguenze disastrose: sarebbe come cercare di mangiare con le orecchie; nessuno, infatti, mette in dubbio quanto sia meraviglioso l’orecchio nella sua struttura e nel suo funzionamento, ma chi provasse a usarlo per mangiare ne ricaverebbe solo dolore e delusione.

E se la signorina Prim ci mette un po’ a risvegliarsi pienamente, ad accelerare questa sua chiarificazione esistenziale contribuiscono un anziano monaco benedettino, che viene dall’autrice paragonato a chi ha potuto, eccezionalmente, liberarsi dalla condizione penosa dei prigionieri nella caverna del racconto platonico, e una anzianissima signora, che, dall’alto dei suoi novantacinque anni e della sua notevolissima esperienza di vita, mette in guardia Prudencia da due mali del nostro tempo: lo scetticismo e il sofismo. Come finirà l’avventura della signorina Prim? Bene, questo possiamo dirlo, senza timore di rovinare la sorpresa. Ma il finale sarà assai poco scontato: degna conclusione di un libro originale, che si presta a diversi livelli di lettura.

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