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Home » Chiesa » Papa » CONCLAVE/ Ivereigh: non è questione di dottrina ma di “stile”, ecco il profilo del nuovo Papa

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CONCLAVE/ Ivereigh: non è questione di dottrina ma di “stile”, ecco il profilo del nuovo Papa

Int. Austen Ivereigh
Pubblicato 5 Maggio 2025
Cardinali nella Basilica di San Pietro, durante una messa dei Novendiali per papa Francesco (Ansa)

Cardinali nella Basilica di San Pietro, durante una messa dei Novendiali per papa Francesco (Ansa)

Il conclave è imminente. I cardinali stanno cercando di combinare il profilo del pastore con i nomi disponibili. Non si faranno influenzare

“È evidente che c’è uno sforzo dei cattolici conservatori americani, tutti pro-Trump, di condizionare il conclave. Sia mediante siti appositi in cui si fa il profilo dei cardinali, sia diffondendo video e interviste in cui si insinua il dubbio che le personalità coincidano con singoli episodi, come è stato per Tagle. Ma la Chiesa è preparata, ha anticorpi adeguati”. A dirlo è Austen Ivereigh, giornalista e scrittore inglese, biografo di Bergoglio-papa Francesco, cui ha dedicato tre importanti lavori, a partire dalla biografia, The Great Reformer: Francis and the Making of a Radical Pope del 2014.


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Il conclave si avvicina e Ivereigh ha condiviso con Il Sussidiario le sue impressioni su questo momento delicatissimo della vita della Chiesa.

Dunque le interferenze non fanno paura?

Ogni azione di questo tipo produce una contro-reazione della Chiesa, in questo caso dei cardinali. Non si faranno condizionare.

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Certo. I cardinali sono preparati anche a questo, ed è verosimile che quanto accadde nel 2013 si ripeta. Ricordo bene le prime ventiquattr’ore dopo l’elezione di Bergoglio: si cercarono subito collusioni con la dittatura, ma erano accuse inconsistenti e si dissolsero in brevissimo tempo.

I cardinali sono vicini ad un accordo?

In queste ultime ore sono molto silenziosi, vuol dire che sono in un momento importante del loro lavoro. Stanno probabilmente cercando di combinare il profilo di pastore che intendono dare alla Chiesa con i nomi disponibili.

Ci sono cardinali, non tutti votanti ma comunque influenti, attestati su posizioni contrarie a quelle di Francesco. Quanto pesano?


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Si tratta di un piccolo gruppo, non più di 10-12 cardinali, fatto di nomi noti: Burke, Müller, Sarah, Stella e altri. Sono ostili a Francesco, e sono molto arrabbiati perché sanno di non poter incidere. Anche in questo caso, come mi hanno confermato vari cardinali, la loro offensiva ha prodotto una contro-reazione.

Altri gruppi?

C’è una componente non ostile a Francesco, ma più scettica. È un gruppo trasversale culturalmente e geograficamente, nel quale molti africani si ritrovano sulle posizioni di svariati europei. È difficile stimarne il numero, ma esso è sicuramente superiore a quello dei tradizionalisti.

I veri e propri progressisti sul piano teologico? Si parla, come leader, del cardinale Hollerich.

Non vedo tanto Hollerich in questo ruolo, ma è vero che ci sono cardinali, soprattutto tedeschi e del Nord Europa, che hanno una visione più “progressista” della dottrina. La pensano diversamente sulla questione della benedizione delle coppie omosessuali e del diaconato femminile, ma non ritengo che queste differenze siano sostanziali.

Per quale motivo?

Perché sono realmente pochissimi i cardinali che vorrebbero spingersi così in avanti. Lo si è visto al Sinodo, caratterizzato da una grande varietà di posizioni, che però alla fine si sono tutte dimostrate, a larghissima maggioranza, entro i confini della fedeltà alla Chiesa.

Quello del cardinale Parolin è subito apparso come un profilo “papabile”. Cosa ne pensi?

Nella prima votazione Parolin potrebbe certamente raccogliere dai 30 ai 40 voti. Ma questo non significa che siano destinati a crescere. Si fanno altri nomi di cardinali italiani, che però non ho sufficienti elementi per valutare.

Qual è la questione chiave?

La sinodalità, senza dubbio. Per molti è l’eredità più forte e più importante di Francesco. Il documento finale è considerato da costoro la “hoja de ruta”, (tabella di marcia, nda), un cammino irrinunciabile. Il nuovo papa avrà avuto modo di ascoltare nelle congregazioni generali molte opinioni sulla sinodalità, e avrà sicuramente constatato che molti cardinali non sono convinti o hanno timori e riserve. È un tema che il nuovo pontefice dovrà affrontare.

C’è poi un problema enorme che si chiama Cina. L’accordo con Pechino è oggetto di forti critiche.

La linea di Francesco e Parolin a mio avviso è l’unica possibile. C’è un prezzo da pagare, e sta nel fatto che la Chiesa non può denunciare apertamente un certo regime, ma è ancor più importante per i fedeli non venire accusati di servire un potere straniero. Ad oggi non sappiamo cosa c’è nell’accordo Vaticano-Cina, ma un merito l’accordo ce l’ha: ha reso possibile il dialogo.

Quello di papa Bergoglio è stato un governo solitario della Chiesa?

No, la creazione del G9 (consiglio dei nove) ne è la smentita, gli stessi vescovi dovrebbero riconoscere che sono stati molto più consultati da Francesco di quanto avveniva prima di lui. Tuttavia è vero che lo stile di governo di papa Francesco è stato molto personalista, in un senso, direi, “argentino” del termine. Sotto questo profilo, gli anni del suo pontificato potrebbero aver posto le condizioni per un governo più sistematico e di servizio.

Un tuo ricordo personale di Francesco?

L’ho visto per l’ultima volta nel dicembre scorso, forse alla vigilia del concistoro. Aveva la bronchite e parlava a fatica. Mi sarebbe piaciuto porgli molte domande, ma mi accorsi che non potevo se non volevo prostrarlo, e glielo dissi. Lui mi rispose di rimanere, e mi invitò a parlare, “mi piace ascoltarti”, mi disse. Gli parlai della Gran Bretagna. E di altro cose. Fu un momento commovente, di grande affetto e tenerezza. Dopo una ventina di minuti lo lasciai perché era molto stanco. Quando entrai nell’ascensore, ebbi la netta sensazione di averlo visto per l’ultima volta.

Tu hai scritto una biografia del Papa quando il pontificato era agli inizi. Che differenza c’è tra i mesi programmatici del pontificato, quelli dell’Evangelii Gaudium e di parole come “Chiesa in uscita”, autoreferenzialità, periferie, e la Chiesa che ci lascia Francesco oggi?

Fin dal principio il cuore del programma di Bergoglio è stata l’evangelizzazione. È un concetto che da papa ha ripetuto molte volte ai gesuiti. Agli inizi del pontificato mi domandai che senso potesse avere, visto che l’evangelizzazione fa parte della missione della Chiesa. Ma per lui la diagnosi era chiara: la Chiesa non stava evangelizzando abbastanza. Doveva “uscire”. Un concetto-chiave del pontificato che diventa ancor più chiaro alla luce di un’altra espressione, diventata più frequente negli ultimi anni: lo “stile di Dio”.

Che cosa ci lascia questa visione?

Oggi la Chiesa non può più evangelizzare da una posizione di sicurezza garantita dal potere, dal privilegio che deriva da una società basata sul cristianesimo. La presenza e la missione della Chiesa devono avvenire come nei primi secoli, attraverso la vita cambiata dei cristiani stessi. È così che il loro stile richiama quello di Dio, che è Misericordia, tenerezza, compassione.

Lo ha ripetuto anche il cardinale Re nell’omelia in occasione dei funerali.

Re ha dedicato la prima parte proprio allo “stile” di papa Francesco. Per Bergoglio la Misericordia è il “cuore del Vangelo”, e solo la misericordia è in grado di arrivare al cuore delle persone. La vera questione pre-conclave che si pone è questa, cioè come si annuncia il Vangelo oggi. È un’impostazione che scavalca le solite categorie.

Alludi alla divisione tra progressisti e conservatori?

Sì. Le differenze nel collegio cardinalizio non sono tanto di dottrina, di etica. Ci sono orientamenti di fondo che permangono, è vero, ma a mio avviso non saranno decisivi. Conterà per i cardinali lo stile con cui il successore di Pietro dovrà guidare la Chiesa.

L’80 per cento dei votanti sono stati creati cardinali da Francesco.

Questo avrà un peso, ma lui era meno attento a che un vescovo fosse più o meno conservatore; guardava con molta più attenzione, appunto, lo stile, l’apertura, la personalità nel guidare il gregge. È un approccio che implica sacrifici.

Vale a dire?

Alcuni cardinali si sentono “discomforted”, patiscono una sorta di “existential displacement” e vorranno frenare, per recuperare ciò che pensano di aver perduto. Ma sono una minoranza.

(Federico Ferraù)

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Tags: Papa FrancescoDonald TrumpConclaveElezione Papa

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