Il "Jerusalem Post" ipotizza il riconoscimento (smentito) della Palestina da parte USA. Ma Trump deve aprire su Gaza per fare affari nel Golfo
L’annuncio sarebbe clamoroso: gli USA riconoscono lo Stato di Palestina. L’ipotesi si fonda sulle rivelazioni del Jerusalem Post: riportando fonti saudite, il quotidiano israeliano prevede la possibilità che il presidente Trump, in occasione della visita a Riyad della settimana prossima, proceda a un annuncio importante, che potrebbe essere, appunto, proprio questo.
Una tesi che è stata smentita dall’ambasciatore americano in Israele, Mike Huckabee, che però viene riportata dopo che le cronache hanno riferito di una serie di screzi tra statunitensi e israeliani. Il primo riguarda gli Houthi: Trump ha annunciato la fine degli scontri con loro, anche se le milizie yemenite hanno ribadito che continueranno a colpire le navi israeliane.
Ma ci sarebbero discordanze anche sulla gestione dei dossier Iran e Gaza, dove gli USA avrebbero addirittura un piano per gestire la Striscia, facendo subentrare in seguito un governo palestinese senza Hamas.
Di sicuro, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, Trump ha bisogno almeno di un annuncio che faccia vedere agli arabi che tiene alla questione palestinese, senza il quale non potrebbe realizzare gli affari con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che hanno promesso rispettivamente 600 miliardi di dollari e 1.400 miliardi di investimenti negli States.
Gli Houthi, l’Iran, il piano per portare aiuti umanitari a Gaza senza affidarsi all’IDF per la sicurezza: USA e Israele sembrano un po’ ai ferri corti. C’è da credere che si arrivi addirittura al riconoscimento della Palestina da parte di Washington?
Trump potrebbe averlo lasciato intendere come una specie di minaccia, come fanno tutti i Paesi che vogliono dare fastidio a Israele. Ci sta anche che voglia sbandierare qualcosa che poi effettivamente non farà. Oppure, essendo Trump imprevedibile, che farà veramente. D’altra parte, si appresta a un tour nel Medio Oriente senza prevedere neanche una breve tappa in Israele.
È una costante del rapporto tra gli Stati Uniti e Israele: si ha sempre la percezione che siano due realtà perfettamente compenetrate, ma in realtà ognuno dei due Paesi ha una sua agenda, con i propri interessi geostrategici. Ed è abbastanza chiaro che, per Trump, il Medio Oriente non ha la stessa importanza della Cina. Per questo, prima riuscirà a risolvere i suoi problemi nell’area, meglio sarà. Tra questi c’è anche il dossier con l’Iran: le parti, Washington e Teheran, sembrano vicine a un accordo sul nucleare che non piace a Israele.
Senza una presa di posizione americana sulla questione palestinese, Trump non riuscirà a fare affari con l’Arabia Saudita e con gli Emirati Arabi, che hanno promesso rispettivamente investimenti multimiliardari negli USA. Di fronte a tutti questi soldi, il presidente americano potrebbe mettere da parte Israele?
Trump è un uomo d’affari, un immobiliarista che corre dietro al guadagno immediato: più è imponente e più è disposto a fare qualcosa che altrimenti non avrebbe neanche pensato. I Paesi del Golfo si trovano in difficoltà, con le loro opinioni pubbliche, ad avere a che fare con gli Stati Uniti, che armano e offrono supporto in termini militari, logistici, munizioni per l’operazione che dura ormai da più di un anno a Gaza. E in questo contesto è anche difficile per loro normalizzare qualsiasi rapporto con Israele.
Mettendo sul piatto il riconoscimento della Palestina, Trump agevolerebbe i rapporti commerciali con gli arabi, senza mettere in imbarazzo i loro governi, che potrebbero giustificare gli investimenti mostrando di avere ottenuto qualcosa per la Palestina. Paradossalmente, potrebbe favorire anche Israele, che potrebbe procedere alla normalizzazione dei rapporti con i Paesi della regione che non lo hanno ancora fatto.
E se l’annuncio importante di Trump fosse l’ufficializzazione del piano USA per gestire la Striscia di Gaza per poi consegnarla a un governo palestinese senza Hamas?
Non è un annuncio che può arrivare durante una visita in Medio Oriente: significherebbe annunciare che una parte del territorio arabo-palestinese viene occupata, come è stato occupato l’Iraq nel 2003. Non proprio un bel segnale.
Nel senso che, se il piano di Trump fosse questo, sarebbe come occupare, anche se temporaneamente, la Palestina?
Assolutamente sì. Poi bisogna vedere se lo farà anche concretamente: governare Gaza senza la presenza o l’aiuto dell’IDF significa mandare truppe che verrebbero attaccate esattamente come quelle israeliane. Per chi, come lui, si è accreditato come persona che non voleva più guerre, che non voleva più americani che morivano in teatri in cui l’America non aveva nessun interesse, non sarebbe una gran cosa.
Quindi?
Vedo più probabile l’annuncio del riconoscimento della Palestina come mezzo per nascondere o mandare in secondo piano il suo fallimento sul fronte ucraino: lì ha promesso che entro 24 ore avrebbe risolto la guerra, ma sono passati più di 100 giorni senza che sia successo.
Potrebbe essere, invece, che Trump si limiti comunque a un annuncio, perché gli serve per sbloccare gli affari nel Golfo, senza poi dare seguito effettivamente a quanto promesso?
Potrebbe fare l’annuncio e poi anche ritirarlo il giorno dopo, ne sarebbe capace. D’altronde, dare seguito a un annuncio sulla nascita e il riconoscimento di uno Stato di cui non si conoscono di preciso territori e confini lascia il tempo che trova, sarebbe un atto simbolico.
Tutto questo vorrebbe dire che Israele e USA sono vicini alla rottura?
Un riconoscimento della Palestina segnerebbe sicuramente una rottura non di poco conto, perché la destra israeliana parte dal presupposto che la Palestina non abbia un’identità nazionale. Avrebbe anche delle ripercussioni interne notevoli in Israele: dopo la sconfitta militare e d’intelligence del 7 Ottobre, potrebbe essere la più grande sconfitta politica di Netanyahu.
(Paolo Rossetti)
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